Michela Giraud contro tutti: "La mia verità? Fa ridere..."

Dalla danza alla sorella, la comica "scorretta" si racconta su Netflix, in uno show pieno di ironia

Michela Giraud contro tutti: "La mia verità? Fa ridere..."

Provate voi a crescere alla Balduina, alta borghesia romana, con un padre ammiraglio e una madre biologa, compagne di scuola tutte belle, filiformi, ben educate e ben vestite. E, voi, un po' cicciottelle («curvy», pardon), sgraziate, costrette a fare danza classica anche se vorreste giocare a calcio. E con una sorella autistica che, all'unica festa a cui siete state invitate, va in giro a dire alle amiche quanto sono sceme, perché lei non ha filtri. Certo è più difficile crescere allo Zen, però anche Michela Giraud ha avuto il suo bel daffare per diventare grande. Che cosa l'ha salvata? L'ironia, l'autoironia e la recitazione. Ed è diventata così grande che tutti la vogliono: cinema, teatro, televisione. Forbes l'ha messa tra le cento italiane di successo.

Ora è in contemporanea su due canali: su Real Time con C'era una volta l'amore, dove - per la prima volta in un ruolo serio - ascolta le coppie in crisi. E, da oggi, su Netflix, nello speciale The Truth, I Swear!, in cui, appunto, giura di dirci la verità su di lei: come e perché è arrivata a essere Michela Giraud, una delle stand up comedian più amate (e odiate) del momento. «A un certo punto, quando raggiungi una certa visibilità - spiega - senti l'esigenza di raccontare al pubblico la tua storia». Lo show di Netflix, un'ora ad altissimo ritmo, una raffica di battute esilaranti, una mitragliata scorretta alla retorica del politicamente corretto, è il risultato della tournée teatrale che riprenderà il 28 aprile da Venaria Reale a Torino e andrà avanti tutta l'estate in giro per l'Italia (17 maggio a Roma e 23 maggio a Milano).

Ma, soprattutto, è un inno alla leggerezza, a non prendersi troppo sul serio, unico metodo per sopportare la vita. «Altrimenti non sarei diventata quella che sono. Il mio vissuto è profondamente legato a quello che faccio». Perché la svolta per Michela è stato trovare il lato comico nelle sue (piccole o grandi, a seconda dei punti di vista) disgrazie. «A un certo punto notavo che riuscivo a fare ridere le mie amiche e ho capito che avevo un talento, che sarebbe stato il mio punto di forza». E, poi, quando, a 24 anni suonati, ha cominciato a studiare recitazione, lei che ora di anni ne ha 34, ha trovato anche la chiave del successo. «A teatro ho scoperto la mia vera identità, facendo uno sforzo dieci volte inferiore alla danza. Ma ci ho messo molto tempo a capirlo, a farlo diventare un mestiere, a convincere i miei genitori a lasciarmelo fare: mia madre ancora fatica ad accettarlo del tutto...». Prima, appunto, ha dovuto sorbirsi dieci anni di danza «nonostante rotolassi come una pallina su un piano inclinato, nei recital mi mettevano in ultima fila, in mezzo alla polvere e alle corde per tirar su il sipario», e prendersi almeno una laurea, «quella me la sono potuta scegliere, in storia dell'arte». La salvezza è stata anche superare i freni inibitori, dire la verità (o quella che sembra a se stessi), fregarsene dei giudizi. E da chi l'ha imparato? Dalla sorella Cristina, affetta da un disturbo dello spettro autistico, che ha la caratteristica, appunto, di dar sempre voce a quel che pensa, come vorremmo fare tutti. «In una situazione patinata come un contesto borghese, faceva tanto ridere. Per esempio, lei, al primo appuntamento di un possibile spasimante arriva prima di me ad aprire la porta e dice candidamente: Ma non è vero che sei brutto e grasso come dicono tutti!». Non era tutto così simpatico. «Da ragazze non ci invitavano alle feste perché eravamo diverse. Ma mia sorella mi ha fatto vedere la vita con più colori e suoni, come passare da mono a stereo. Mia madre, per spiegarmi i suoi problemi, da piccola mi diceva: immagina che la nostra testa sia una pentola, ecco lei ha uno scolapasta...».

E, dunque, ecco la liberazione di Michela, donna e attrice: dagli stereotipi, dal buonismo, dal pietismo, dalla schiavitù delle parole accettabili come «curvy», «body positive», «diversamente abile». «E ditemi cicciona, almeno non mi trattate da rinco...». Che, poi, alla fine si trasforma in un messaggio positivo. Un invito ad apprezzarsi, accettarsi e a conoscere il diverso. «Bisogna sbarazzarsi delle identificazioni, degli incasellamenti, dei giudizi». Non è certo facile in un mondo in cui non si può più dire nulla, in cui si estremizza il politicamente corretto, e chi, come Michela, lo fa si tira addosso l'odio, soprattutto social. «Ma di chi? Di Fragolina 22 o Vegana 87? Chissenefrega. Io sto attenta alla mia sensibilità, a quello in cui credo, mi informo prima di sparare cavolate, se faccio un monologo sui vaccini so a cosa vado incontro e difendo le mie scelte».

E Will Smith che, per una battuta sbagliata, colpisce Chris Rock agli Oscar? «Doveva salire sul palco e rispondere per le rime, con ironia, non certo usare la violenza». Trovare sempre il lato comico, per non sprofondare...

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