Esistono vite segnate dal destino. Ne esistono altre da romanzo. E altre ancora che cambiano la storia. Ora che Vladimir Bukovskij, il più famoso dei dissidenti anti sovietici, si è spento in un ospedale di Cambridge, a 76 anni, possiamo dire della sua: era una di quelle.
Segnata dal destino. È il 5 marzo 1953, giorno dei funerali di Stalin a Mosca. Bukovskij, a dieci anni, guarda dall'alto dell'Hotel National, appollaiato sul tetto, l'interminabile processione. E viene colto da tre rivelazioni. La prima: è un momento storico, devo ricordare ogni particolare. La seconda: Dio è morto, dunque io non ho più nessuna autorità al di sopra di me, e d'ora in poi sono il solo responsabile di me stesso. La terza: tutta questa folla che si accalca è in errore. Se Stalin fosse stato un dio, non sarebbe morto. Ma, dal momento che è morto, vuol dire che non è un dio. E qui lo coglie un quarto pensiero: anche gli adulti, dentro e fuori dal Partito, possono sbagliarsi! Le sue scelte successive di dissidente, che lo avrebbero condotto al gulag, alla detenzione per anni e alla tortura in ospedali psichiatrici, sarebbero state preparate per sempre in quel mattino di marzo.
Vita da romanzo. Il 18 dicembre 1976, a Zurigo avviene uno scambio degno delle spy story di le Carré. L'Urss di Breznev acconsente a rilasciarlo in cambio della liberazione di Luis Corvalan, il leader comunista cileno arrestato dal regime di Pinochet. In un'alba nebbiosa Bukovskij, in manette, viene consegnato agli occidentali. Più tardi la sua villetta a Cambridge diventerà luogo di pellegrinaggio dei dissidenti anticomunisti nel mondo.
Attore storico. Inizia una campagna volta a denunciare le compromissioni occidentali con Mosca, e gli effetti virali della sua propaganda. Prende di petto l'Unione Europea, che accusa di replicare, in accordo con un disegno post-sovietico, la logica socialista e centralista del totalitarismo rosso. Per questo viene attaccato da ogni parte, ma non deflette. Dalla sua ha una documentazione difficilmente contestabile: quella da lui fotocopiata negli archivi sovietici, nel 1992. Gran parte di quel materiale confluirà nel libro-rivelazione Gli archivi segreti di Mosca, pubblicato da Spirali nel 1999.
È stato allora, a Milano, che l'ho incontrato la prima volta, stabilendo con lui un rapporto fondato sulla comunanza di ideali. Ne è nato un movimento internazionale da lui guidato, i «Comitati per le Libertà», con l'intento di non lasciar passare sotto silenzio i crimini del comunismo. Eletto nel 2001 alla presidenza, il passo successivo è stato quello di istituire il «Memento Gulag», la giornata alla memoria delle vittime del totalitarismo rosso. La data è stata fissata al 7 novembre, anniversario tragico della Rivoluzione d'Ottobre (secondo la denominazione del calendario giuliano). Celebrato per la prima volta a Roma nel 2003, e poi in varie città europee, il Memento Gulag è diventato l'occasione per denunciare tutte le sopraffazioni totalitarie, incluse quelle commesse dai regimi comunisti ancora operanti.
Sull'onda di quell'impegno, Bukovskij concepisce nel 2007 un piano ancora più ambizioso: candidarsi alla presidenza della Russia, convogliando tutte le forze contrarie al regime (Medvedev sarebbe stato eletto l'anno successivo). I «Comitati per le Libertà» gli avrebbero conferito una dimensione internazionale in grado di controbattere la propaganda ufficiale. Dopo una serie di battaglie legali, la sua candidatura viene bocciata perché risiede all'estero.
Gli anni successivi lo vedono ancora visto impegnato, dagli Stati Uniti a Israele, contro quelli che considera inquinamenti ideologici delle sinistre occidentali.
Il prezzo che gli viene fatto pagare, negli ultimi anni della malattia, è l'orchestrazione di una grottesca campagna volta ad accusarlo di detenzione di materiale osceno (secondo le migliori tradizioni dei servizi segreti in odore di Kgb). Ma per paradosso, ora che la sua voce si è spenta, sarà sempre più difficile per i suoi nemici metterla a tacere.
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