Nella selezione naturale a volte vince il più bello

L'evoluzione della bellezza è un libro bellissimo, e non è un gioco di parole

Nella selezione naturale a volte vince il più bello

L'evoluzione della bellezza (Adelphi, pagg. 588, euro 35) è un libro bellissimo, e non è un gioco di parole. Lo è per il concetto che ne sorregge l'intera impalcatura, e per il modo in cui questo concetto è messo alla prova: il primo è l'intenzione di rimettere (proprio «rimettere», non mettere, ed è fondamentale) la bellezza al posto che occupa nell'ambito dell'evoluzione, ovvero al centro; il secondo è un viaggio alla scoperta delle più meravigliose fra le diecimila specie di uccelli che svolazzano sulla Terra, in particolare nelle foreste del Sud America, con la guida di Richard O. Prum, professore di Ornitologia a Yale.

La tesi di Prum è che la selezione naturale non spieghi tutto e, specialmente, la varietà strepitosa di ornamenti, corteggiamenti, segnali, canti e, in generale, quanto consideriamo bello nella natura; e che però questa incrinatura non sia un problema, nel senso che non deve portarci a esiliare la bellezza dal regno della scienza, al punto di non pronunciarne nemmeno la parola, perché troppo poco «oggettiva», anzi, deve spingerci a considerare la questione dell'evoluzione da un altro punto di vista, che non esclude la selezione naturale, la famosa sopravvivenza del più adatto, bensì la integra: quello della selezione sessuale, ovvero l'influenza che le scelte, compiute in nome della bellezza e del piacere (altro vocabolo innominabile per molti scienziati), hanno sullo sviluppo stesso delle specie, in quella che Prum chiama una «coevoluzione». In pratica, desiderante e desiderato si vengono incontro, ed è così che il desiderio e la libertà trionfano, nell'evoluzione e nella natura, come ben possiamo notare quando osserviamo, giusto per essere banali, la coda del pavone, che in effetti dava da pensare allo stesso Darwin: «La vista di una piuma della coda di un pavone, ogni volta che la guardo, mi fa star male!».

Ma Darwin non stava male davvero, nel senso che, già centocinquanta anni fa, aveva trovato una risposta al dilemma: a che cosa serve la bellezza in natura? Se sopravvive il più adatto, perché tanti animali, e gli uomini per primi, si sforzano di piacere, di apparire belli, proprio - parrebbe - per il gusto di essere belli? E la risposta, esplicitata nell'Origine dell'uomo, è che c'è anche un altro meccanismo evolutivo in azione, ed è la «scelta del partner», vale a dire la preferenza femminile, che può determinare l'evoluzione di piume, colori, struttura delle ali, capacità vocali, esibizioni in volo e a terra e, anche, di certe parti del corpo molto più intime, non solo nei volatili. Ma tant'è, è di bellezza e di piacere che si parla, e i giudizi in questi campi saranno «soggettivi» (e perciò, sempre per molti scienziati, inammissibili), eppure decisivi: convincete voi la femmina di manachino, un uccellino di dieci grammi, a non scegliere il suo pretendente girando di lek in lek, i territori dei vari raggruppamenti di maschi, dove i corteggiatori si esibiscono in spettacoli di volo, canto e colori eccezionali (tecnicamente si chiamano display), quando ormai, da qualche milione di anni, si è abituata così, come una vera regina. E non è che ci sia un solo genere di display, no, «ciascuna delle cinquantaquattro specie di manachino ha sviluppato un proprio repertorio» e, quindi, «solo in questo gruppo di uccelli esistono cinquantaquattro standard di bellezza diversi». Si scopre poi che il pavone è un dilettante rispetto all'argo maggiore, il quale all'interno delle piume sfoggia un disegno degno di un pittore rinascimentale, ma soltanto quando deve corteggiare una femmina, la quale, da parte sua, si limita ad arricciare il becco con indifferenza. Oppure che l'uccello giardiniere costruisce delle specie di gazebo elaboratissimi con rametti e foglie, alcuni perfino con fossili e oggetti colorati, altri a forma di alberello (gigantesco rispetto a questo volatile, che è minuscolo), altri che sembrano pagode, il tutto per conquistare la femmina, che può assistere a canti e voli e sfoggi di piumaggio in sicurezza. E, per sicurezza, si intende sicurezza sessuale, perché l'apprezzamento estetico è l'altra faccia della lotta, della competizione maschile per conquistarsi una discendenza, e che talvolta non bada né al consenso femminile, né alla prole altrui: fra le anatre c'è un numero sconcertante di stupri, azioni violente durante le quali le femmine spesso perdono la vita e sono costrette ad abbandonare i piccoli; fra i primati l'infanticidio è pratica comune da parte dei maschi che assumono il ruolo dominante, perché durante l'allattamento le femmine non sono disponibili.

L'evoluzione della bellezza porta per vie inaspettate, del resto lo stesso Prum, birdwatcher accanito fin da bambino, ha seguito la strada della biologia evolutiva proprio per studiare «l'eccezionale varietà delle specie esistenti» di uccelli e le «infinite, raffinate differenze fra esse». Ridurre questa meraviglia all'adattamento tramite selezione naturale, dice, gli pare «noioso». Per non dire peggio: poco proficuo, dato che porta ad escludere tutto ciò che è bello e piacevole, solo perché (apparentemente) irrazionale o, ancora peggio, a considerarlo un semplice «segnale di onestà», come dire, se sono bello è perché vanto ottimi geni, buona salute, fertilità... Questa riduzione della bellezza alla quantità/qualità è l'unico modo in cui, per decenni, gli scienziati hanno considerato l'estetica in ambito evolutivo, nel nome di un adattazionismo così spinto da superare di gran lunga quello darwiniano, anzi, da snaturare la stessa teoria darwiniana, sopprimendo (o magari dimenticando...) il ruolo della scelta sessuale del partner e della bellezza in questa scelta, sottolineati dallo stesso Darwin. Il quale insomma, dice Prum, aveva già capito tutto, solo che era troppo rivoluzionario, troppo avanti per i suoi stessi seguaci, che si sono limitati a tramandarne un pezzettino, il più dogmatico, il più rassicurante (per loro), cioè l'adattamento attraverso la selezione naturale; che però «non è sinonimo di evoluzione», insiste Prum, poiché «l'evoluzione è spesso assai più stravagante, bizzarra, legata al contesto e alle circostanze individuali e meno prevedibile e generalizzabile di quanto ci si aspetterebbe sulla base del solo meccanismo di adattamento». È così che Prum si addentra in casi di «decadenza evolutiva», in cui il gusto per la bellezza si tramuta addirittura in una penalizzazione per la sopravvivenza della specie, nei misteri del piacere, incluso il piacere femminile e nell'evoluzione degli organi sessuali di uomini e donne, proprio in base al piacere (c'è anche una strepitosa spiegazione della perdita dell'osso del pene fatta risalire a una interpretazione innovativa della Genesi).

Nell'evoluzione estetica raccontata da Prum, gli individui hanno un ruolo attivo: il loro giudizio (soprattutto femminile) nella scelta del partner conta e influisce sull'evoluzione stessa. Il sottotitolo originale del libro è: «Come la teoria dimenticata di Darwin della scelta del partner ha modellato il mondo animale - e noi». A certi scienziati sembrerà forse una teoria pericolosamente disordinata, perché l'irrazionale disturba il rigore di un'evoluzione in cui basta la forza per vincere, in cui basta essere «il più adatto»; invece questa evoluzione estetica, in cui fanno irruzione il desiderio e la libertà, sembra così umana, troppo umana, anzi, quasi troppo bella per essere vera.

Prum arriva a sostenere che le ali e il volo si siano evoluti dalle piume: «Non sono le penne a essersi evolute per il volo; se mai, il volo si è evoluto dalle penne».

Ovvero: «Il desiderio di bellezza e la coevoluzione che ne risulta potrebbero addirittura essere all'origine dell'evoluzione stessa degli uccelli», oltre che della loro sopravvivenza alla grande estinzione di massa del Cretaceo, nella quale si estinsero tutti i dinosauri tranne, appunto, gli antenati degli uccelli, dinosauri che avevano le penne e le usavano per volare. La bellezza non salverà il mondo, lo ha già salvato...

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