Ci sono attori che non hanno bisogno della continua conferma del successo, per rimanere popolari. La loro notorietà si manterrebbe comunque intatta (né risulterebbe per questo menomata) anche solo grazie ad un unico ruolo. Così forse oggi non dispiacerebbe a Nino Castelnuovo essere ricordato soprattutto per il suo Renzo Tramaglino: andandosene a 84 anni dopo una lunga malattia, il protagonista dello storico I promessi sposi di Sandro Bolchi (sceneggiato anno 1967: Lucia Mondella era una modernissima Paola Pitagora) resterà per sempre legato ad una delle più meritorie opere di divulgazione culturale della storia della tv. Quel genere di opere che la Rai di oggi -quella, per intenderci, che in tema di presunta divulgazione ha sulla coscienza il recente Leonardo... - neppure si sogna.
Da attore colto, allevato a scuole prestigiose (il Piccolo di Strehler) e occhieggiato da raffinati registi (Jaques Demy, che lo affiancò ad una cerea Catherine Deneuve nel raffinato Les parapluies de Cherbourg) Castelnuovo apprezzerebbe che oggi si ricordi quella fresca sensibilità, e quella genuina baldanza che, unita a un gradevole aspetto, ne fecero uno dei migliori «attori giovani» del nostro cinema. Il fidanzato scapestrato di Claudia Cardinale in Un maledetto imbroglio di Pietro Germi; il giovinastro corrotto in Rocco e i suoi fratelli di Visconti; il seduttore di quartiere nel Gobbo di Lizzani; lo studente partigiano suo malgrado in Un giorno da leoni di Loy, ne individuarono subito un talento esuberante, e già saldo. Poi, improvvisa quanto meritata, ecco la vasta popolarità: in mezzo alle più grandi «star» del teatro Tino Carraro, Lilla Brignone, Lea Massarti, Salvo Randone, Sergio Tofano, Franco Parenti, Massimo Girotti; e scusate se è poco- il giovane attore lombardo mantenne la barra dritta, senza minimamente sfigurare e, anzi, padroneggiando con sicurezza da veterano i dialoghi manzoniani, ripresi alla lettera dal testo originale. Di quei Promessi sposi le signore discettavano dal parrucchiere, i ragazzini facevano la collezione delle figurine, le ragazzine attaccavano le foto (di Nino) in camera da letto. Senza dire di quanto le innumerevoli repliche avranno incrementato l'acculturamento della platea tv; nonché le vendite del romanzo stesso.
Non importa che il resto della filmografia di Castelnuovo non abbia sempre mantenuto le premesse; che sia incappato, ad esempio, in uno dei pochi flop firmati Vittorio De Sica (l'ingiustamente sottovalutato Un mondo nuovo): si è poi rifatto col pregevole cameo esibito nell'ormai classico Il paziente inglese di Anthony Minghella. E non conta neppure che per anni sia rimasto intrappolato nell'immagine dell'atletico giovanotto che scavalca una staccionata, per colpa dell'ultra citato spot di un olio da frittura. Inconvenienti della popolarità: ancora una volta. Se non altro era in buona compagnia: come a lui anche a Paolo Ferrari, per anni incatenato ai fustini del suo detersivo, o Ernesto Calindri, per decenni prigioniero nel traffico a sorseggiare il suo amaro, la gente guardava con ironia. Ma temperata da simpatia e affetto.
Lo stesso affetto che gli fu testimoniato tre anni fa, quando la moglie Cristina andò in tv da Eleonora Daniele per denunciarne la salute malferma (stava diventando cieco) e le precarie condizioni economiche. «Siamo rimasti soli - disse - Ma credo che Nino meriti aiuto, perché ha dato molto alla cultura». Già: alla cultura. E oggi non sapremmo immaginare per lui merito più grande di questo.
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