«Noi? Una Compagnia dell'anello per domare il pensiero unico»

Parla il fondatore del gruppo musicale ispirato all'universo tolkieniano, che compie 40 anni. E torna il Campo Hobbit

«Noi? Una Compagnia dell'anello per domare il pensiero unico»

Il primo fu a Montesarchio (Benevento) l'11 e 12 giugno 1977, il secondo a Fonte Romana (L'Aquila) il 23-25 giugno 1978, il terzo a Castel Camponeschi (L'Aquila) il 16-20 luglio 1980. Poi quella esperienza si concluse lasciando però una traccia indelebile nell'immaginario della destra giovanile di ormai 40 anni fa. Di che parliamo? Dei Campi Hobbit, ideati da Generoso Simeone, estroso beneventano scomparso nel 2000 a soli 56 anni, per riunire in un momento comunitario ragazzi dispersi e disorientati dal clima avvelenato degli «anni di piombo». Si trattò di un fenomeno unico nel suo genere soprattutto in una destra paralizzata, anche perché in quella occasione nacque uno dei gruppi di musica alternativa ancora oggi con successo in attività, ossia la Compagnia dell'Anello, creata inizialmente da Mario Bortoluzzi e Junio Guariento. Il loro primo album fu Dedicato all'Europa (1978) cui hanno fatto seguito altri sei fino a Quadraginta annos in unum fideles (2014) che contengono tutte le loro canzoni, fra cui alcune famosissime per la loro forza di suggestione in cui si mescola quotidianità e mito, come Il domani appartiene a noi, Terra di Thule, Il contadino, il monaco, il guerriero, Il costume del cervo bianco, In rotta per Bisanzio, Di là dall'acqua, Anche se tutti... noi no! Il gruppo ha un sito e una pagina Fb a suo nome.

Quarant'anni significano almeno due generazioni, una data importante, e quindi da cercarne il suo senso effettivo ieri e oggi per chi voglia avere una visione complessiva e non settoriale o ghettizzata di ciò che fu la gioventù italiana dell'epoca, lasciando da parte luoghi comuni e ostilità ideologiche, odi e rancori prefabbricati. E di certo la persona più adatta per parlarne è Mario Bortoluzzi, uno dei creatori della Compagnia dell'Anello e ancor oggi suo leader.

Cosa si ripromettevano i Campi Hobbit? Che tipo di ragazzi di destra vi parteciparono? A sinistra si disse addirittura che fossero «campi paramilitari»!

«L'Italia del 1977 era un Paese colpito da una forte crisi economica e da una guerra civile strisciante provocata da una sinistra extraparlamentare che voleva annullare politicamente e fisicamente l'opposizione missina al regime del cosiddetto arco costituzionale. Quando Generoso Simeone, geniale esponente dell'ala rautiana del Msi, decise di dar vita al primo Campo Hobbit, l'organizzazione giovanile del partito, il Fronte della Gioventù, stava faticosamente uscendo da anni di persecuzioni giudiziarie, l'ultima delle quali avvenuta a Padova, la mia città, l'anno prima, con l'incriminazione di 33 giovani incensurati (di cui 12 agli arresti), messi sotto processo con l'accusa pretestuosa di aver addirittura ricostituito il disciolto Partito Nazionale Fascista. Il clima era quello vissuto da una comunità giovanile assediata, da una parte dalle squadre della sinistra estrema, dall'altra da iniziative kafkiane di una parte politicizzata della magistratura. Il primo Campo Hobbit fu perciò innanzitutto un momento di festa, di liberazione - e di sperimentazione di nuove forme espressive di una comunità di giovani - da una cappa opprimente costruita da ben individuati centri di potere. L'accusa di aver dato vita a campi paramilitari, ridicola quanto falsa, è smentita dalle stesse cronache giornalistiche dell'epoca e dalla documentazione fotografica esistente».

La Compagnia dell'Anello si formò proprio in quell'occasione? E come successe, cosa vi mosse?

«Bisogna tornare un attimo indietro nel tempo. Nel 1974 a Padova le Brigate Rosse uccisero per la prima volta, assassinando Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci nella sede del Msi di Via Zabarella. Ci fu chi disse che si era trattato di una faida interna! Un giovane militante del Fronte, Gigi Toso, scrisse un volantino-poesia dal titolo Padova, 17 giugno 1974 dando voce a uno dei caduti. Io ci misi la melodia e così, inconsapevolmente, nacque la prima canzone di quel filone poi definito musica alternativa e analizzato magistralmente in un saggio da Guido Giraudo. A noi si unirono altri ragazzi del FdG e del Fuan, alcuni provenienti dall'ambiente della goliardia. Nacque così il Gpdpn, curiosa sigla che stava per Gruppo Padovano di Protesta Nazionale. Le prime canzoni La ballata del nero, Jan Palach, La foiba di San Giuliano, A Piero - inizialmente cantate nella sede di Padova, poi, invitati in altre città, in giro per il Nord Italia - narravano il quotidiano dei giovani che, in Italia e in Europa, lottavano contro il comunismo. Tutto fu brutalmente interrotto con gli arresti che colpirono la comunità studentesca padovana fra la fine del '75 e l'inizio del 1976. Qualche mese di stop forzato e poi, in una formazione rinforzata da nuovi ingressi, l'ultimo concerto del Gpdpn a Roma, il 6 dicembre del '76 al Teatro delle Muse, organizzato dalla rivista Eowyn e intitolato I canti della rivolta ideale. Fu un successo ma anche il canto del cigno del gruppo. Trasferimenti delle famiglie in altre città, servizio di leva e problemi di lavoro, di fatto ridussero il gruppo a due elementi: il sottoscritto e Junio Guariento. Con lui ci presentammo nel giugno 1977 al primo Campo Hobbit con la denominazione Compagnia dell'Anello e con il contributo, per alcuni nuovi testi, di Stefania Paternò. Ricominciare in due per arrivare magari in nove... come la Compagnia tolkieniana. Fu quello che accadde negli anni '80 con l'ingresso di Adolfo Morganti e Gino Pincini e, soprattutto, con gli apporti decisivi nel 1982 dei fratelli Massimo e Marinella Di Nunzio, i quali da allora curarono gli arrangiamenti in modo professionale, di Marco Priori e, negli anni successivi, di Alessandro Chiarelli, Andrea e Alessandro Di Nunzio e Filippo Cianfoni».

Hobbit, Compagnia dell'Anello... Nomi derivati dalle opere di J.R.R. Tolkien. Perché questa scelta? Cosa vi attraeva del professore di Oxford tradotto appena sette anni prima? Perché questo legame quasi immediato fra una certa gioventù di destra e quelle saghe fantastiche?

«L'opera di Tolkien fu per noi evocatrice di simboli e valori alternativi a quelli espressi dalla cultura dominante. Piacque a tutta una generazione di militanti per un processo immediato di identificazione. Ci sentivamo proprio come piccoli Hobbit in lotta contro l'Oscuro Signore. Piccoli ma coriacei, resistenti, combattivi e, alla fine, vincenti. Pensiamo all'epilogo de Il Signore degli Anelli. Gli Hobbit tornano in una Contea devastata dalle malefatte di Saruman e guidano la rivolta in nome della libertà e delle tradizioni del popolo contro tutti i simboli puzzolenti della modernità industriale imposti dalla dittatura. Miti, valori, simboli che sentimmo e facemmo nostri, dando vita a una stagione di svecchiamento e di apertura verso il futuro».

Non fu dunque una strumentalizzazione, coma la Sinistra, specialista in questo, sbraitò e certe volte qualche suo tardo e ignorante epigono sbraita ancora?

«Assolutamente no. L'intellighenzia di sinistra,. Umberto Eco in testa, bollò l'opera di Tolkien come oscurantista e reazionaria, a noi invece piacque da subito perché in essa riconoscemmo gli archetipi della cultura europea, quasi d'istinto. Non fu una fuga dalla realtà, come qualcuno ha scritto, bensì la fuga di prigionieri dal carcere del politicamente corretto di allora».

Che importanza ha avuto la vostra musica nell'immaginario collettivo di certa destra giovanile? E come ci si sente ora, a 60 anni, rispetto a quando ne avevate 20 e iniziaste senza sapere quel che sarebbe poi accaduto?

«Credo abbia contribuito alla costruzione culturale di giovani che, dopo un primo moto di coraggiosa differenziazione, nell'entrare in contatto con un ambiente demonizzato dai media, hanno trovato nelle nostre canzoni suggestioni, idee e riferimenti importanti per acquisire una visione della vita non conforme alla dittatura di quello che oggi si definisce Pensiero Unico.

Come si diceva un tempo, una canzone vale più di mille volantini, e nostro compito è stato ed è, a 20 come a 60 anni, diffondere questa visione a un pubblico sempre più vasto, non solo di destra, e che oggi ci ascolta».

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