Contro ogni sua stessa previsione il «suo» Milan ha stravinto l'altro giorno contro la Lazio e il film di cui è protagonista, Belli di papà diretto da Guido Chiesa e prodotto da Colorado Film di Maurizio Totti in collaborazione con Medusa appena uscito nelle sale, è balzato primo al box office totalizzando quasi un milione e mezzo di euro. Dunque un risveglio veramente splendido quello di ieri mattina per Diego Abatantuono: «Mi sono alzato felice anche se il risultato economico, importante perché è la dimostrazione che alla gente è piaciuto, lo avevamo messo un po' in conto visto che eravamo molto soddisfatti del film mentre il Milan ultimamente era un po' più in difficoltà...
Belli di papà tocca un tema universale come quello del rapporto padri e figli.
«Dai greci passando per Shakespeare è con l'amore e la guerra il tema su cui si fonda tutto il teatro. Tutti siamo figli e quasi tutti padri. Il conflitto generazionale è alla base di tutte le vicende familiari. Ma quello che abbiamo voluto fare con questa commedia era focalizzare l'assunto della trasformazione non tanto sui figli quanto sui padri che sono anche loro in un'età di cambiamento».
La commedia, ancora una volta, sembra intercettare perfettamente la realtà.
«Però bisognerebbe mettersi d'accordo su che cos'è commedia perché si pensa che in essa confluisca tutto, dal comico al demenziale fino al romantico. In realtà quelli sono altri generi, la commedia è un genere preciso - penso a Monicelli, Scola, Risi - in cui viene trattata una tematica seria ma in maniera brillante come in Mediterraneo di Salvatores».Un modello che non a caso ha reso il cinema italiano vincente nel mondo. Qual è il segreto del suo successo? «Forse aver molto insistito su questo genere che è quello che mi piace di più. E poi l'aver scelto i ruoli più adatti alla mia età. Ma non credo nelle formule».
Ovvero?
«C'è stato un momento in cui si facevano commedie con dieci attori diversi per attrarre il pubblico. Ma le storie finivano inevitabilmente in secondo piano, ed è stato un errore».
Una lunga carriera la sua...
«Se guardo a quanto è durata, 40 anni, mi sembra incredibile. Ho iniziato a 20 anni e ho lavorato in un centinaio di film. Ora però ho quella che chiamo la sindrome di Gianni Morandi ossia di esserci ancora».
Sembra che il suo sia un pubblico nuovo.
«Più che altro è trasversale, dai ragazzini ai genitori e non solo».
Non solo?
«Guardi, mi è successo recentemente che mi si è avvicinata una bella ragazza, ma proprio bella, e tu puoi avere qualsiasi età ma ti immagini sempre, con un po' di presunzione e follia e ti aspetti una domanda così: Mi fa un autografo?, magari Sa che lei è il mio attore preferito?; e invece lei mi ha detto: Mia nonna è pazza di lei...»
Com'è il rapporto con i suoi tre figli?
«Mi diverto moltissimo con loro, ho una fortuna sproporzionata perché sono uno meglio dell'altro, ci vado molto d'accordo come con le loro diverse mamme. In più ho molta voglia di essere affettuoso con loro, per esempio adoro abbracciarli ma non li forzo, cerco la chiave ironica per farlo».
Una risalta ci salverà, come quella che nasce da una idea di uno dei figli bamboccioni: «Dobbiamo variare, diversificare, compriamo l'Inter!».
«È una battuta che fa molto ridere perché in Belli di papà non parlo mai di calcio, non si dice mai che squadra tifiamo. Però quando si dice di comprare l'Inter il pubblico ride perché a me vengono le pulsazioni».
Oggi si parla tanto di «modello Milano» contrapposto a quello di «Mafia Capitale», lei che ne pensa?
«Sono cose temporanee perché ora qui con l'Expo c'è euforia e allegria visti i casini successi a Roma con il sindaco licenziato.
Ma basta poco che la situazione si può rivoltare».Ha visitato l'Expo?«Ho visto solo l'ingresso, ho fatto 400 selfie e sono andato via. Mi sembrava di essere un padiglione ambulante, c'era la coda anche per fare le foto con me».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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