Il mestiere di guardiano del faro è visto da molti come un sogno romantico. Ancora oggi quando si bandisce un concorso per guardiano di fari, in qualsiasi parte del mondo, le domande fioccano a migliaia. Molti fari sono ormai automatizzati, ma anche questi necessitano di una manutenzione periodica. Svariati i motivi che inducono molte persone a sognare la professione di guardiano di faro: il ritrovare un senso di libertà perduto, il fuggire dalla routine, lo staccare della vita quotidiana, lo stare soli, il vivere a contatto con la natura.
La scrittrice e ricercatrice messicana Jazmina Barrera coltiva fin da piccola un'insolita passione: colleziona riproduzioni di fari da tutto il mondo, molti dei quali li ha visitati. E possiede una mappa che mostra i fari di tutte le coste e le isole del globo. Nel suo nuovo Quaderno dei fari (La nuova frontiera, pagg. 126, euro 15), tra citazioni letterarie e artistiche, da Omero a Walter Scott, da Lawrence Durrell a Virginia Woolf fino a Edward Hopper, racconta dei suoi vagabondaggi da un faro all'altro, spinta dal desiderio di conoscerli e catalogarli tutti. «Mi sono messa a fare ricerche sulla storia dei fari, sulle storie di fari. Ed è stato come quando ci si innamora, volevo portare la conoscenza alle sue estreme conseguenze. Di tutti i fari. Tutto sui fari».
Nati per segnalare ai naviganti la presenza di zone pericolose, barriere, scogli, coste, moli o luoghi d'atterraggio, i fari da sempre esercitazione sul nostro immaginario una forte e inesplicabile suggestione.
I fari più antichi che ci restano risalgono al medioevo. A quell'epoca erano soprattutto i monaci a occuparsi della loro manutenzione, dal momento che feudatari e monarchi «rivendicavano la proprietà di tutto ciò che naufragava sulle loro coste (uomini e donne compresi). Da qui la prosperità di terre come la Normandia, dove spesso le brusche correnti facevano naufragare le navi».
Uno dei primi fari, quello di Alessandria d'Egitto, era una torre di pietra alta 135 metri, con in cima un braciere posto accanto alla statua del dio Elio e fiamme che si sprigionavano alte verso il cielo. Rimaneva acceso giorno e notte e la sua fiamma era distinguibile dai marinai a oltre cinquanta chilometri di distanza. Era una delle sette meraviglie del mondo. Sorgeva sull'isola di Faro (da qui il nome), situata all'imboccatura del porto di Alessandria e collegata alla terraferma da una strada rialzata. A costruirlo stato nel III secolo a.C. l'architetto Sostrato di Cnido, che lavorava per Tolomeo I, sovrano d'Egitto, e prima ancora generale macedone al seguito di Alessandro Magno. L'astuto architetto aveva inciso il proprio nome sulla pietra, e quello di Tolomeo sull'intonaco steso sopra, nella consapevolezza che col tempo il gesso si sarebbe sbriciolato portandosi via il nome del re e lasciando affiorare il proprio. Il faro esisteva ancora quindici secoli dopo, benché ormai in disarmo (fu raso al suolo da un terremoto nel 1323). Così lo descrive Ibn Battuta, viaggiatore marocchino del XIV secolo, che ci ha lasciato un resoconto dei suoi viaggi e che lo visitò nel 1326: «Un edificio quadrato che si staglia nel cielo, posto su un'alta collina a una parasanga da Alessandria, al termine di una lunga striscia di terra che ospita il cimitero, circondata per tre lati dal mare».
In realtà già Omero fa riferimento a «torri accese» con falò che andavano accuditi con la stessa cura del sacro fuoco dei templi. All'epoca della guerra di Troia un faro sorgeva all'ingresso dei Dardanelli (all'epoca chiamati Ellesponto) e un altro davanti all'imbocco del Bosforo. Svetonio cita un faro situato a Caprera, Plinio il Vecchio fa riferimento a quelli di Ostia e di Ravenna, avvertendo: «Attenzione a non scambiarli per stelle!».
I Maya pare costruissero edifici illuminati dall'interno per consentire ai naviganti di orientarsi. I celti accendevano dei falò sulla costa. I cinesi costruivano gigantesche pagode che fungevano da fari.
La presenza di fari e lanterne è una costante nei secoli e in ogni angolo di mondo. Alcuni costruiti sulla costa, altri su isolotti rocciosi battuti dalle onde e dalle tempeste (come quello di Fastnet, in Irlanda, o quello di Mouro, sulla piccola e rocciosa isola di fronte alle coste della città di Santander, nella Spagna settentrionale). I guardiani di questi fari restavano isolati per mesi, fino a che il mare non avesse consentito l'attracco al personale giunto a dare il cambio. Pazienza e buon carattere erano tra i requisiti richiesti ai fini del loro reclutamento. Tra i guardiani della famosa Lanterna di Genova, costruita nel 1321, ci fu lo zio di Cristoforo Colombo, Antonio Colombo. Dal faro di Yaquina Head (un tempo chiamato «Faro del Maltempo»), sulla costa dell'Oregon, il quale si illumina ogni due secondi, si può assistere al passaggio di branchi di balene. Il faro ritenuto il più pericoloso al mondo è quello francese della Jument, tra il canale della Manica e il golfo di Biscaglia, battuto da onde alte fino a trenta metri.
Il nonno e il padre dello scrittore scozzese Robert Louis Stevenson erano ingegneri, per lo più costruttori di fari. Il nonno di Stevenson fu il primo «a costruire un faro su uno scoglio affiorante, lontano dalla costa», noto come Bell Rock. Anni dopo il padre «contribuì all'evoluzione dei fari, trasformando la lente di Fresnel (introdotta nella prima metà dell'800 per incrementare la luminosità complessiva delle lampade dei fari) con l'aggiunta del metallo che la rese più potente». Egli restava immobile per ore a contemplare le onde, le contava, annotando le caratteristiche del loro moto, in modo da progettare fari in grado di reggere all'urto, al loro incessante frangersi. I primi fari bruciavano legna. Quelli successivi carbone e pece. Poi fu la volta delle lampade a petrolio e a gas, fino all'avvento dell'energia elettrica e delle lampadine.
Se avete in mente di viaggiare, un bell'itinerario alla scoperta dei fari italiani (sono 161, dall'imponente Faro della Vittoria di Trieste, alto 67 metri, al suggestivo Faro di Capel Rosso, sull'Isola del Giglio; dal Faro della Guardia di Ponza a quello di Capo d'Otranto, tutelato
dalla Commissione europea; da quello dello scoglio Mangiabarche, nell'Isola di Sant'Antioco, a quello di Strombolicchio, abbarbicato su un alto sperone roccioso in mezzo alle onde) potrebbe essere un'idea da non trascurare.
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