Pacifico racconta perché "Una voce non basta"

Nel suo nuovo album Una voce non basta è riuscito a coinvolgere 25 artisti, tra cantanti e musicisti: da Malika Ayane a Samuele Bersani. Luigi De Crescenzo, in arte Pacifico, racconta come è riuscito a realizzare questo disco. E non solo...

Pacifico racconta perché "Una voce non basta"

Una voce non basta è il titolo del nuovo album di Luigi De Crescenzo, in arte Pacifico. E infatti di voci ce ne sono quindici. Da Malika Ayane a Samuele Bersani, dai Casino Royale a Cristina Donà da Francesco Bianconi a Musica Nuda.

Dove risiede la maggiore difficoltà nel fare un disco corale come il tuo?
"Nel fatto che l'atto creativo è un momento abbastanza solitario, è molto difficile condividere e quando metti assieme artisti a scrivere è complicatissimo perché ognuno ha il suo metodo".

Qual è stato il tuo metodo per evitare che si innescassero meccanismi di competizione o di stallo nella stesura dei pezzi?
"Essendo cantautore ho imparato a non creare meccanismi di competizione tra gli artisti. Ho scritto per ognuno di loro due, tre spunti, cercando di fare una sorta di brano molto scarno in cui potessi essere rappresentato io, ma anche l'artista. Poi li ho inviati, lasciando uno spazio e chiedendo all'artista: "Vuoi far parte del progetto scrivendo o interpretando?"".

Insomma, hai lasciato ampi margini di manovra...
"Sì. Ho scavato tracce e alzato nude pareti di tante piccole case che poi ognuno ha completato e arredato. Io ho messo lì la struttura già pronta in modo che uno dovesse metterci solo il guizzo e l'interpretazione".

Hai collaborato con i più grandi artisti italiani ma anche con altri meno noti. Pensi che nella musica tutto abbia dignità?
"Ognuno ha i suoi parametri. Io non credo che tutto abbia dignità. Mi irrigidisco di più e ritengo meno degno il prodotto musicale quando vedo che ci sono professionalità stimabili che però indirizzano il giovane artista e dicono: questo funziona coi ragazzini e questo no. A me piace immaginare l'artista solo in una stanza che canta e si emoziona".

Una visione tra il romantico e l'anacronistico...
"Mi interessa l'artista indipendente che ha una passione che lo spinge".

Perché oggi un testo dura meno che nel passato?
"E' una domanda che mi sono posto anche io. Non so se è perché oggi nessuno è più capace di scrivere grandi canzoni come per esempio quelle di Dalla e De Gregori oppure se è perché non viene recepita la grandezza stessa della canzone. Sono sempre meno i brani che restano sempreverdi. Io ho avuto la fortuna di scrivere una canzone come Sei nell'Anima di Gianna Nannini, ma dopo non ne ho sentite più. Dal punto di vista autorale gli unici pezzi che a me hanno scosso sono stati due di Battiato: Povera patria e La Cura.

Parliamo di canzoni di tanti anni fa... Come spieghi questa mancanza di radicamento di un testo?
"Prima la musica veicolava tantissimo, le persone si ritrovavano la sera e parlavano di musica. Ora ci sono tantissime forme di comunicazione e ci sono tanti modi, grazie alla rete, per manifestarsi e per scrivere. Quindi le canzoni arrivano lo stesso, ma non sono l'unico veicolo di emozioni o di desiderio di cambiamento. Ora puoi viaggiare facilmente e in passato la musica era anche un modo per spostarsi".

In Italia allo Stato viene spesso contestato di non tutelare gli artisti. Tu adesso vivi in Francia. Hai notato differenze? "C'è un abisso con la Francia. Qui c'è la questione dell'eccezione culturale che è un po' un loro vanto e le difficoltà che hanno gli artisti francesi rispetto a quelli italiani sono risibili. I francesi hanno il sostegno mensile e la loro difficoltà è non avere più la quattordicesima. E poi alla fine c'è una differenza sostanziale".

Quale?

"Io conosco diversa gente che sarà artista fino a 70-80 anni senza mai diventare una star, organizzandosi anno per anno. Da noi se riesci a fare questo sei considerato marginale o sei ricco di famiglia. E' difficile farcela e in più, se ce la fai, è comunque sempre vista come un'attività per pochi stralunati, stravaganti o benestanti".

Si dice che l'arte nasca più dal disagio che dal conforto. Sei d'accordo?
"Sicuramente. La difficoltà aumenta e spinge le persone a creare di più e infatti io credo che in Italia le stanze siano piene di persone che scrivono”.

Ma?

"Ma quanti sono quelli che poi investono dei soldi su un disco, quanti riescono a fare un video e una campagna stampa dignitosa? Non è tanto la creatività che manca. Ci sono dei sistemi antiquati che non producono e non investono più e rimangono avvitati su se stessi".

L'artista vale a prescindere dal riflesso sociale e dal pubblico?
"Quello che fai vale e l'artista vale lo stesso. E lo dimostra il fatto che ci sono pittori sepolti in un campo con una croce di legno che poi sono stati riconosciuti postumi. Però è anche vero che se sei un artista pop, forse il fatto che tu faccia una musica popolare che non viene riconosciuta dalle persone è un grande limite".

Sei un grande lettore ed estimatore di scrittori come Bolaño e Soriano. Come si riflette la cultura letteraria nel modo in cui componi?
"Si riflette poco. Io tendo a non farla entrare. Leggendo vedo dei posti in cui non sono mai stato e quindi il mio sguardo diventa più ampio oppure vedo dei tipi fisici che non ho mai visto. Ecco, forse l'unico riflesso è questo. Ma non metto mai delle citazioni. Le cose che mi emozionano sono scritte con le parole che usiamo tutti, ma combinate in un modo inaspettato".

C'è una via italiana alla canzone perfetta?

"Se ci sleghiamo dalla logica che una canzone scritta in due giorni per un talent show vende dieci volte quello che può vendere una canzone scritta in un anno da un artista di nicchia, allora canzoni perfette ce ne sono ancora".

Come si prepara Pacifico alla stesura di un testo?
"Faccio una sorta di preparazione mentale ed emotiva alla scrittura. A un certo punto sento il bisogno di un raccoglimento, mi chiudo in una stanza, immagino cose che non vedo ancora, scrivo tantissimo, anche mail, proprio come uno stretching di scrittura, perché c'è un lessico e un armamentario di parole che ti servono per gestire le relazioni quotidiane della tua vita, ma quando ti avventuri veramente dentro le emozioni è come se incontri una persona che non vedi da tanto e che ti dice che sta male. Ecco, lì devi entrare in un'altra stanza di termini, di emozioni e di descrizioni".

Quindi c'è un primo step di scrittura a valanga.
"Sì. Faccio molto lavoro di scrittura preparatorio, scrivo molto male e in modo legnoso all'inizio, le prime cose che scrivo sono fastidiose".

E poi che succede?
"A un certo punto sento che arrivo a descrivere le cose con più chiarezza e scrivere mi risulta più semplice: vuol dire che sono entrato nel luogo giusto".

Tu hai scritto testi per i più grandi cantanti italiani e sei richiestissimo. Qual è la chiave del successo?
"E' un po' come la musica da film. Quando tu approcci delle immagini senti che anche se sono mute hanno già una musica dentro, te la suggerisce il film. E così quando lavoro con un altro artista molte informazioni me le forniscono loro: la carriera, le esperienze, i dischi.

Qual è il rischio maggiore?

"Spesso l'artista quando in un testo metti dentro il suo mondo troppo bene sente una parodia, una caricatura di se stesso. Invece devi far capire che lo rispetti e conosci il suo mondo però devi aggiungere la tua cifra".

Che differenza c'è tra lo scrivere per gli altri e lo scrivere per te stesso?

"Quando lavoro per me vomito su un foglio, spesso in maniera profetica, nel senso che scrivo ciò che magari non ho ancora detto. Faccio una sorta di autoanalisi".

Ti emoziona di più scrivere per te stesso o per gli altri? "Quando funziona una canzone, sia in un modo sia in un altro, è sempre una grande soddisfazione. Io sono arrivato in un paio di sagre di paese mentre ero in coda per gli gnocchi e ho sentito una band scalcagnata del luogo suonare una canzone che avevo scritto per altri, oppure è successo negli stadi. Ecco, questo è molto emoziante perché senti la forza della canzone popolare.

Quando scrivo per me arriva a meno persone però sento una rappresentazione molto fedele di quello che sono, riconosco senza condividere con nessun altro quello che sono io col mio stile ed è tutto più autocelebrativo e liberatorio".

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