Un buco nero. Quello è. Un precipizio di dodici, esili capitoli. Uno scannatoio in verbi. Tutta la Bibbia sta sulla soglia di quel buco nero. Anche noi, lettori dai denti di latte, siamo vagliati da lui, Qohelet, l'uomo che «prende la parola» per scagliarcela in faccia, sfacciatamente crudele, il «figlio di Davide» che fin da subito ci dice, con sconcertante chiarezza, che «Tutto è vanità», vanità al quadrato, «vanità delle vanità». «Qohelet è libro ascetico... è un libro assoluto... Non viene per annunciare viene per esserci», scrive Guido Ceronetti nella sua versione del libro, che alimenta abissi. Sfrangiato dalla vanità in ebraico: havel che ha tradotto prima (versione del 1970) «infinito vuoto... infinito niente... vuoto niente», poi (versione del 2001, stampa Adelphi) «fumo di fumo». Velando di fumo il morso.
Andrea Ponso, che pure è poeta nel 2011, con Mondadori, pubblica I ferri del mestiere nella sua versione di Qohelet o del significante (San Paolo, pagg. 250, euro 25), indossa il cilicio lirico, non si inebria di gnosi, si fionda nel caustico deserto del rotolo biblico da spoglio. «Qohelet non sta costruendo nessuna tesi, nessun sistema che risolva il mistero della vita, nessuna soluzione a buon mercato applicabile a ogni situazione... Egli ascolta e fa suo ogni fremito, ogni dissonanza, ogni grido di terrore sul non senso o sulla gioia passeggera ma reale», scrive Ponso, che del libro propone una traduzione limpida, esatta, senza sofismi retorici (se il gioco vi piace: alla versione di Erri De Luca, Feltrinelli, preferite quella di Paolo Sacchi, in catalogo San Paolo, al di là dell'inarrivabile Ceronetti). Tra i poeti più interessanti di oggi, Ponso ha abdicato alla poesia per vivere da poeta, ruminando versetti biblici (le sue Letture bibliche sono pubblicata da Fara nel 2014, la sua versione del Cantico dei Cantici è edita da il Saggiatore, 2018). Con accanimento, azzanna il Grande Codice, la Bibbia, secondo una tradizione comune hanno tradotto i Vangeli Massimo Bontempelli, Salvatore Quasimodo, Corrado Alvaro, Diego Valeri ora in disuso. Gli scrittori e i poeti, oggi, tranne rare eccezioni ed eccellenze (Gian Ruggero Manzoni, Andrea Temporelli, Davide Rondoni, Tiziana Cera Rosco, ad esempio), guardano con schifiltosa ignoranza alla Bibbia.
Qohelet è il sapiente che sa che l'unico sapere è la morte, che squarta per aprire province di verità, «Non è forse il distacco la vera ricchezza, il vivere cioè tutto non come proprietà ma come dono?», scrive Ponso, che fa del libro una disciplina. «Sembra che ogni azioni porti con sé la propria contraddizione: non c'è nulla di stabile che si lasci cogliere, l'affacciarsi porta già con sé l'inizio del non essere. Tutto viene spazzato via. Tutto finisce con il suo contrario», diceva il rabbino Giuseppe Laras nel commento al Libro di Qohelet (Cuem, 2002).
L'uomo ama ciò che si distrugge, che lo distrugge: solo dallo scempio delle illusioni, dal termitaio dell'assurdo («Al posto del diritto c'è l'iniquità, al posto della giustizia c'è l'empietà... la sorte degli uomini è la stessa di quella degli animali», latra Qohelet), vuoti, è possibile intuire l'ombra di Dio, vivere.
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