Se siete lettori di Cioran o di Caraco o, perché no, del nostro Giuseppe Rensi, allora non potete non leggere anche Pierre Nicole (1625-95). Non perché Nicole dica ciò che dicono Cioran, Caraco, Rensi ma, al contrario, perché Cioran, Caraco, Rensi, da gran lettori quali furono del Grand Siècle, dicono ciò che disse Nicole e, insomma, scopiazzano, sia pur con ispirazione. Ne volete subito una prova? Nel secondo capitolo del suo De la faiblesse de l'homme, Nicole sostiene la necessità d'umiliare l'uomo facendogli conoscere la sua miseria, ma non riducendolo alla condizione delle bestie. L'uomo è pieno di orgoglio, gonfio, arioso come una bolla e allora bisogna bucare quest'enfisema come si fora un pallone gonfiato: «Disingannare l'uomo dall'illusione con cui si rappresenta grande, mostrandogli la sua piccolezza e le sue infermità; non per ridurlo all'abbattimento e alla disperazione, ma per condurlo a cercare in Dio il sostegno, l'appoggio, la grandezza e la forza che non può mai trovare in sé, né in ciò che a sé accompagna». Già, tutto vero. Tuttavia, scusate, chi è Pierre Nicole?
È inutile cercare nei manuali di storia della filosofa perché non se ne ricaverà nulla. Al massimo il suo nome sarà menzionato con Arnauld per dire che i due lavorarono insieme a Port-Royal e pensarono la famosa Logica. Quindi, il silenzio. Eppure, perfino quel genio di Pascal sarebbe stato meno geniale se non fosse stato suggestionato da Pierre Nicole che alla filosofia riconosceva il compito di «dire duramente le cose dure». Dopotutto, qualcuno dovrà pur farlo, no? E Nicole lo fece - lo fa - in modo magistrale, tanto che Alessandro Manzoni, il severo Manzoni, ne fu un persuaso ammiratore e nelle Osservazioni sulla morale cattolica lo definisce «un osservatore profondo e sottile del cuore umano, il gran Nicole». Un nichilista, quale alla fin fine fu «il gran Nicole», accostato ad un credente cattolico? Certo, perché mai menarne scandalo? Non conosco niente di meglio del niente per avvicinarsi a quel nulla che è Dio giacché la conoscenza della miseria dell'uomo è la necessaria premessa per assaporarne la vera debole grandezza. Si può capire allora perché Voltaire, non certo generoso nel lodare, scrivesse così di Nicole: «I suoi Saggi di morale che sono utili al genere umano, non moriranno mai. Soprattutto il capitolo sui Modi di conservare la pace tra gli uomini è un capolavoro di cui non si trova eguale nel mondo antico».
Oggi il miglior modo di far la conoscenza di questo giansenista che, in fondo, fu tale per non recar dispiacere ad Arnauld e che fece girar la testa a madame de Sévigné la quale lo raccomandava alla figlia - «stessa stoffa di Pascal, ma d'un bello che mi piace sempre» - è leggere Miseria dell'uomo che Liberilibri ha ora pubblicato con la traduzione e l'introduzione di Marco Lanterna, pensatore indipendente cresciuto alla scuola antiaccademica di Anacleto Verrecchia. Questo scrittarello è un piccolo capolavoro di nichilismo che «il gran Nicole» mise a capo dei suoi Saggi di morale come un cerbero o un cartiglio infernale, dice con luce malinconica Lanterna. In questi saggi scettici, perché Nicole è per davvero un Montaigne più inquieto, c'è una spietata forza distruttrice e dissolutrice che non lascia scampo. Al termine del lungo viaggio nella notte non c'è la luce e l'accordo tra il Dio ottimo e massimo e il mondo pessimo e minimo non si trova se non, forse, in una corda di violino che suona sola nel sordo deserto. Per Nicole l'uomo è nulla, appunto miseria, e il miglior modo per campare, per non far danni è tenerlo sempre a mente. E Dio? Nelle pagine corre e ricorre il nome del Signore ma sembra di capire che sia una forma di cortesia, di buone maniere, di accortezza per evitare di far la fine delle caldarroste.
Per avere un uomo bisogna continuamente demolire l'uomo e Miseria dell'uomo è scritto apposta per evitare che qualcuno, anche
oggi, dopo Hitler e dopo Stalin e «le magnifiche sorti e progressive» di ogni dove, se ne venga con la solita idea cretina e mortuaria di creare l'«uomo nuovo» con, nientemeno, l'ideologia del potere politico vero e giusto.
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