La "Pietà" di Vezzoli è un leone disneyano

In piazza della Signoria un enorme felino tiene tra le fauci una testa romana

La "Pietà" di Vezzoli è un leone disneyano

Firenze. Chissà come reagirà Firenze quando stamattina si sveglierà e troverà nella centralissima piazza della Signoria una nuova, e non poco ingombrante, statua. Colpa del blitz notturno dell'artista Francesco Vezzoli che, novello principe rinascimentale, ha posto la sua inconfondibile firma davanti al comune fiorentino.

«Francesco Vezzoli in Florence», intelligente operazione con la regia di Cristiana Perrella, direttrice del Centro Pecci di Prato, e di Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento, merita più che un post su Instagram. Vezzoli ha scelto di entrare a gamba tesa per difendere la storia e la nostra identità: interviene infatti a sorpresa nella piazza antistante Palazzo Vecchio e poi ne varca la soglia per recarsi, con il primo intervento assoluto di arte contemporanea mai realizzato in situ, nello studiolo di Francesco I de' Medici, granduca di Toscana nella seconda metà del Cinquecento.

Intervento ambizioso, tenuto top secret fino all'ultimo (non si sa nemmeno fino a quando sarà allestito). Pietà, 2021, liberata dalle impalcature solo stanotte, è un'azione di arte pubblica «pensata per essere vista senza filtri da turisti e passanti». Una mega-scultura che ci ricorda chi siamo e da dove veniamo: una risposta diretta alla «cancel culture» imperante? Pare di sì. Parliamo infatti di un leone di oltre cinque metri, posto nell'angolo di sinistra della piazza, guardando Palazzo Vecchio. Il soggetto non è casuale: a Firenze il leone per antonomasia è «il Marzocco» che, secondo la tradizione, protegge tra le sue zampe il giglio cittadino. Il leone di Vezzoli proviene invece da una piazza antiquaria: è di fattura novecentesca, stava in una villa veneta. «Disneyano» lo chiama l'artista. Rimosse le impalcature, appare monumentale, spropositato, esorbitante. È messo lì per rinfrescarci la memoria: tra le fauci tiene una testa romana, un frammento di civiltà perduta (di fatto un reperto del II secolo che Vezzoli ha acquistato sul mercato, da goloso collezionista di arte antica qual è diventato). Dalla commistione dei due lavori, uno novecentesco e l'altro antico, e dai riferimenti espliciti alla storia locale di Firenze nasce un'opera tutta nuova, una «contemporanea Pietà» che chiede ai passanti maggiore attenzione allo spazio che attraversa, così pregno di storia, e a ciò che ha significato, alle libertà e ai valori per cui qui si è discusso e combattuto.

Più intima invece l'atmosfera nello studiolo interno a Palazzo Vecchio, dove La musa dell'archeologia piange, realizzata per l'occasione, è una statua di un togato romano tra il II e il I secolo a.C. su cui Vezzoli innesta una «testa metafisica» dechirichiana in bronzo scintillante che riflette l'ambiente circostante, una stanza impreziosita da mobili intagliati.

Di tutta questa ampia operazione del «contemporaneo a Firenze» (Jeff Koons a Palazzo Strozzi, Jenny Saville nei musei della città, gli Uffizi che sdoganano l'idea di una galleria di autoritratti dei fumettisti), l'operazione-Vezzoli è, forse, la più onesta. Occhio a non far arrabbiare il Marzocco.

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