«L'importante è tornare a casa e dire: Wow! Com'era bello quel maiale animatronico che si muoveva!». Per Stefano Sollima, regista romano 53enne che ha stregato Hollywood con le sue serie spettacolari da Gomorra a Soldado, con Benicio Del Toro e Josh Brolin quel che conta è essere soddisfatti di quanto si fa. Anche quando affonda le mani nei tormenti. È lui il re della serialità tricolore nel mondo e adesso lo ribadisce con Zero Zero Zero, serie tv Sky Original, prodotta da Cattleya (dal 14 su Sky Atlantic, Now TV e on demand), creata e diretta da Sollima, con Gabriel Byrne, Dane Dehaan, Giuseppe De Domenico e Adriano Chiaramida. Dove volano pallottole lunghe un dito, maiali affamati divorano vivi i malavitosi sull'Aspromonte e tonnellate di cocaina il triplo zero rimanda alla purezza dello stupefacente viaggiano per tre continenti: è la «polvere bianca» la merce più trafficata del nostro tempo, come dimostra il romanzo di Roberto Saviano, dal quale è tratta Zero Zero Zero. E come affermano, da anni, i questori. Allarmati dalla massiccia presenza di coca nei nostri fiumi. Alto, magro, vestito di nero, Sollima padroneggia un'estetica internazionale fatta di patina e sangue. E domina set complessi, figli della globalizzazione.
Il bene non fa rumore, il male sì. Cosa le resta addosso, quando ritrae efferatezze e crimini?
«I codici del genere gangster-movie sono precisi: per me, si tratta d'un film. È l'aspetto esteriore dell'intrattenimento: il regista deve mantenere equidistanza. Magari, poi si riflette su cos'è il tuo mondo e su quanta ipocrisia c'è nella lotta al narcotraffico. Sono padre di due figli».
Stavolta segue una nave portacontainer, dal Messico alla Calabria, traversando il mondo. Com'è stata la lavorazione?
«Complicata e a volte pericolosa. A parte la sfida di mantenere continuità di racconto con gli altri registi, Janus Metz e Pablo Trapero, che comunque hanno visioni diverse e, si sa, la diversità è ricchezza. Ma girando a Monterey, in Messico, una scena dove gli attori erano in assetto anti-sommossa, la gente era terrorizzata e la polizia ci ha intimato l'alt, non credendo che stessimo girando un film. Poi, tutto si è chiarito e abbiamo ripreso a lavorare».
Dal libro di Saviano, quali le suggestioni più forti?
«L'elemento di racconto che più m'ha colpito, perché paradigmatico, era quello messicano. Dove un gruppo di militari, addestrati per contrastare il fenomeno del traffico di droga, a un certo punto, stanco di sentirsi carne da macello, privo di mezzi adeguati, crea un proprio cartello della droga. Usando le tipiche tecniche brutali da guerriglia, utili in senso anti-narcos. Compreso lo smembramento del corpo umano».
Nella sigla della serie compare una pistola, avvolta dal rosario e conficcata in Calabria: ricorda una famosa copertina di Der Spiegel,col revolver sul piatto di spaghetti
«Abbiamo concepito la sigla come un teaser del racconto. Se lo fa Der Spiegel, ci innervosiamo ad essere rappresentati così. Se lo facciamo noi, c'innervosiamo di meno, ma è soltanto un'idea grafica».
Qual è il segreto del suo successo a Hollywood?
«Forse piaccio perché reinvento un certo cinema di genere, usando uno stile molto più risoluto di quello usato, fin qui, dai registi americani. Anche se sono cresciuto con il cinema americano, non ne ho mai privilegiato il mito. Cercando, piuttosto, una mia cifra personale».
Rispetto al libro di Saviano, quali libertà si è preso?
«Del libro di Saviano ho preso soltanto l'idea. Ma non volevo fare un racconto sulla cocaina, bensì sulla globalizzazione. Volevo raccontare la cocaina in quanto merce, nel suo impatto sociale. Abbiamo voluto trarre, da un'inchiesta giornalistica, un'inchiesta parallela. Il mercato, la produzione, i consumi, i modi di vivere e di pensare, tutto è connesso in un mondo globale».
E quale idea s'è fatto di tale flusso continuo?
«C'è stata un'accelerazione di alcuni processi. I paesi che, una volta, erano del Terzo mondo, sono diventati del Primo mondo e lo rimangono. Ora è tutto contemporaneo, nello stesso posto. E più veloce».
Progetti futuri?
«Sto preparando Without Remorse, un revenge movie con Michael J.Jordan, che è un adattamento dal romanzo omonimo di Tom Clancy».
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