Claudio SiniscalchiCon la morte di Franco Citti si chiude una pagina di grande importanza del cinema italiano. Citti aveva interpretato il personaggio di Accattone nell'omonimo film di esordio di Pier Paolo Pasolini nel 1961. Un'opera ancora oggi drammatica e sfolgorate, inquietante e poetica. In assoluto il miglior film della sin troppo celebrata carriera pasoliniana, al quale Citti aveva offerto il suo volto duro e spigoloso, le sue movenze di piccolo balordo della borgata romana, sfaccendato e sfruttatore delle donne.Era la migliore, la più riuscita delle icone di Pasolini, scovata nel sottoproletariato, saltando in maniera mirabile dalla vita alla finzione. La migliore per somiglianza psicologica, linguaggio, abbigliamento e movenze. A quei disperati ricchi di vitalità, che Pasolini amò follemente, sino alla morte, vedendo in essi il duplicato della figura di Cristo, Citti si era sforzato di infondere un'anima. Proseguirà la carriera con Pasolini in Mamma Roma (1962), Edipo Re (1962), Porcile (1969), Il Decameron (1971), I racconti di Cantembury (1972), Il fiore delle mille e una notte (1974). Lo ritroveremo in una bella parte de Il Padrino (1972) di Francis Ford Coppola (tornerà anche in Il Padrino III, nel 1990), picciotto con la coppola e il fucile a tracolla. Figurerà in Roma (1972) di Fellini. Sarà interprete anche di tanti altri film, da Todo modo (1977) di Elio Petri a La banda del trucido (1977) di Stelvio Massi, dimostrandosi un attore in grado di muoversi nella parte alta del cinema d'impegno come in quella commerciale del genere poliziottesco.Ha lavorato moltissimo, Franco Citti, anche con il fratello Sergio, che cercava di rianimare il cinema al di fuori degli schemi di Pasolini, pieno di richiami religiosi, in Casotto (1977) e I magi randagi (1996). Insieme a Sergio ha diretto e interpretato Cartoni animati (1997). L'ultima sua apparizione sullo schermo è del 1999, col pasoliniano Gianni Minello: E insieme vivremo tutte le stagioni. Poi, dopo una cinquantina di film, il buio. Uscito di scena.Da anni era bloccato sulla sedia a rotelle in seguito a tre ictus ripetuti, ma non voleva lasciare la vita, si attaccava al fuoco che sentiva dentro, solo velato dalla saggezza del tempo e dalla solitudine crescente per i tanti amici lasciati per strada: Pasolini, Betti, Cerami, suo fratello Sergio.La sua è stata una carriera molto lunga ma che in realtà resta legata in maniera indelebile alla prima interpretazione.Franco Citti era morto professionalmente nei primi anni '60 del secolo passato, in strada, solo come un cane, dopo l'ennesimo furtarello. È il finale di Accattone, quando Vittorio (detto «Accattone»), le scarpe piene di polvere, le unghie nere, la barba mal rasata, gli abiti lisi, sfinito, spossato, beve il calice amaro sino in fondo lasciando la vita terrena per povertà e ignoranza, disgraziato sottoproletario in un mondo ostile e violento, al quale anche Cristo ha voltato le spalle.Vittorio-Accattone è una figura che resterà indelebile nella memoria visiva della storia italiana. Un perdente del neocapitalismo.
L'altra faccia della medaglia del boom economico. Un accattone nella società del benessere allontanato dalla tavola imbandita. Franco Citti ha prestato il viso a questo mondo, con amore e indulgenza, ironia e caparbietà. E per questa ragione lo dobbiamo ringraziare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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