«La Rai anni '70? Era un bel mistero» l'intervista » NOSTALGIA IN BIANCO E NERO

«La Rai anni '70? Era un bel mistero» l'intervista » NOSTALGIA IN BIANCO E NERO

Negli anni '70, la Rai era proprio un bel mistero. Non solo perché gli sceneggiati noir, paranormali, fantastici, fantascientifici che ora tornano nelle edicole in Dvd ebbero uno straordinario successo (roba da 15-16 milioni di spettatori...), ma anche perché i tanto vituperati funzionari e capi in testa più o meno democristiani si dimostrarono i migliori talent scout e i più aperti e curiosi operatori culturali della storia della televisione italiana.
A dirlo non è un democristiano, ma uno che alla Rai arrivò... da un settimanale comunista, Gianfranco Calligarich. «Da ragazzo - racconta - per Le Nuove mi occupavo di tv e costume. Nel frattempo, scrivevo racconti. Un giorno andai dal direttore e gli dissi: “me ne vado”. E lui, che faceva il pittore informale: “me ne vado anch'io”. Squattrinato ma orgoglioso, mi chiudo in casa, ovviamente a scrivere. E a un certo punto squilla il telefono. È la Rai, mi passano “il dottor Bonicelli”. Il quale mi dice: “Ho letto un suo racconto sul Mondo, mi piacerebbe farci un film ma purtroppo finisce con un suicidio e sa... abbiamo un codice che ce lo impedisce... Però, perché non viene a lavorare con noi? Abbiamo un'idea di sceneggiatura, Ritratto di donna velata, di Paolo Levi... Lei si interessa di paranormale?”. Io, mentendo, dissi di sì. E così cominciò una grande avventura».
Sembra una storia inventata, quasi paranormale...
«È la pura verità. La Rai democristiana era straordinaria. Per me sono stati 15 anni meravigliosi. Mi presentavo e dicevo: “vorrei fare questo”. E loro: “bene, vai a casa e mettiti a lavorare”. La cultura veniva prima di tutto».
Preistoria...
«Pensi, c'era questo trucco per far passare le proposte: agganciarle a un grande classico. A me accadde per lo sceneggiato Tre anni. Dico: “avrei un'idea da Cechov...”. “Ottimo, scrivi”. Infatti era Cechov, ma trasferito a Trieste, negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale...».
Insomma, Viale Mazzini come un'università dove si presentano tesi a piacere. Una libidine.
«Andare in Rai era piacevolissimo. Corridoi pieni di attori con le foto sotto il braccio, funzionari coltissimi, tutto un fermento... Era una piccola Hollywood. Nessun vincolo politico, tutti apertissimi e interessatissimi. Prenda la mia Storia di Anna, era la prima storia di droga in tv, non so se mi spiego... Regista il grande Salvatore Nocita. E poi La promessa, da Dürrenmatt... Noi sceneggiatori non eravamo professionisti. Eravamo scrittori e giornalisti con le loro storie».
Storie di tutti i generi. Anche se allora non si parlava di tv generalista.
«Non c'erano i generi, c'erano i cervelli. Quanto alla stagione del giallo e del mistero, per esempio, a un certo punto arriva Giuseppe D'Agata con Il segno del comando. Ed ecco che si inaugura il filone».
E la gente non staccava gli occhi dal video. Boom di ascolti, come si direbbe oggi, da far impallidire il Grande Fratello.
«La gente non solo guardava, partecipava. Un episodio. Il finale di Tre anni è, cechovianamente, aperto. Un amore lasciato in sospeso. Bene, ci diciamo, perché non indiciamo un concorso (c'erano in palio alcuni semplici registratori...) chiedendo agli spettatori come si immaginano una puntata finale? Risultato: 17mila risposte. Si dovettero arruolare degli studenti di Lettere per esaminarli tutti».
Altro che Tre anni, passarono, perché la Rai dovette iniziare a fare i conti con la concorrenza...
«Sì. Riagganciandomi a Tre anni, proposi un salto in avanti nella storia d'Italia, agli anni Trenta del consenso al fascismo. Volevo riprendere Come le foglie di Giacosa e trasferire la commedia nella Roma mussoliniana. Ma...».
Ma...
«Ma arrivò un secco “no” da Emanuele Milano. E sa perché? Perché Canale 5 aveva preso Dallas che andava alla grande».
Certo che Giacosa contro Dallas, all'inizio degli anni '80, sarebbe stato un suicidio.
«La Rai non era più la stessa. Non era più quella dei De Sisti, dei Nocita, del piacere di fare un lavoro collettivo di crescita culturale del Paese».
Qualcosa mi dice che la Rai di oggi non le piace...
«In genere guardo poca tv. Film e sport su Sky. Ma ho visto cose ben fatte anche ultimamente. Il Commissario Montalbano di Zingaretti è ottimo, meglio dei libri. E quello sceneggiato sul Trio Lescano, Le ragazze dello swing, era buono».
Eccezioni, comunque.
«Oggi si punta sulla quantità, e non parlo solo della Rai, ovviamente. E poi ci sono i diktat degli sponsor. Ma i bravi autori e i bravi attori sono cocciuti, e ogni tanto riescono ad averla vinta».


E se dovesse tornare a lavorare per la tv, che cosa proporrebbe?
«Ho due pallini “africani”: Vittorio Bottego e le sue esplorazioni e Amedeo Guillet, che divenne un idolo degli abissini... Ma chi si prende la briga di andare a girare in Africa, con i tempi che corrono?».
Già, chi?


Gianfranco Calligarich

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