Riccardo Muti riapre le porte della classica. A Ravenna firma un Mendelssohn "magico"

Il maestro poi sul podio a Firenze e, stasera, a Milano con i musicisti della Wiener

Riccardo Muti riapre le porte della classica. A Ravenna firma un Mendelssohn "magico"

Lo ius primae noctis musicale, anche nell'anno secondo del Covid, spetta per autorità e prestigio riconosciuto a Riccardo Muti, il quale nel giro di tre giorni ha portato la Filarmonica di Vienna a Ravenna, Firenze e, stasera, Milano. Non sono tre città scelte a caso, essendo rispettivamente, la città dove il maestro vive dal 1969, la prima sede prestigiosa in cui fu nominato direttore musicale del Maggio Fiorentino dal 1968 al 1982 e il teatro al quale ha legato il maggior numero di anni come guida stabile, diciannove, dal 1986 al 2005, la Scala.

Gli appassionati di numerologia, o meglio ancora della smorfia napoletana, potrebbero giocarsi il terno 52 (anni di residenza ravennate), 12 (periodo fiorentino) e 19 (scaligero). La simbologia numerica partenopea associa al 12, «e surdate» (i soldati), con chiaro riferimento alle caratteristiche dell'archetipo maschile, al vigore, alla perseveranza, fino al «sadismo», qualità da sempre connaturate con l'esercizio della professione direttoriale. Il 19, «a resata» (la risata) riporta al Dna partenopeo dell'allegria, quella che con un motto di spirito rompe la pesantezza dei rituali musicali, quella che nella vita di un musicista responsabile di teatri e orchestre vivacizza lunghe giornate di prove, audizioni, riunioni, richieste sindacali. Vien poi il 52, «a mamma» (la mamma), simbolo dell'amore incondizionato e dello spirito di sacrificio, superflua l'associazione fra Muti e Ravenna.

Proprio a Ravenna, al Teatro Alighieri, abbiamo ascoltato il primo concerto della tournée nel pomeriggio di domenica. Poche file di spettatori in platea, palchi per due persone. Numeri esigui, ma spettatori che sembravano di più, viste le spettrali sale dei mesi precedenti. Ma quando attacca la magica stasi con cui si apre l'ouverture di Mendelssohn, Calma di mare e felice viaggio (ispirata alla poesia con la quale Goethe riportava le emozioni provate su un mercantile in vista di Capri quando un vento benigno evitò che il bastimento finisse sui faraglioni), il calore degli archi viennesi, i colori di ogni sezione, compensano tutto.

La magia dei Wiener, che Muti guida e lascia andare a memoria, si esalta con la scrittura tersa del romanticismo classico di Mendelssohn e ogni intervento solistico entra ed esce dal «tutti» con l'appropriatezza dovuta si veda l'impeccabile luce dorata emanante dalle trombe nella coda finale che descrive l'ingresso in porto e le salve che salutano il naviglio ormai al sicuro. Poi il colpo di scena, invece del clangore, il ritorno pianissimo della mistica calma di mare, l'incantesimo circolare.

La stessa sensazione di calore sonoro filtrato dall'educazione viennese ha pervaso l'esecuzione della Sinfonia in re minore di Robert Schumann, una delle colonne della sinfonia romantica alla ricerca della continuità formale (fu pubblicata nel 1853 come Quarta, Introduzione, Allegro, Romanza, Scherzo e Finale in un movimento). Una sinfonia «ciclica» che nelle mani di Muti e dei Viennesi diviene organica fra fiammate «vivaci» e oasi liriche - doveroso segnalare la composta sortita e il suono lindo del primo violino nelle trasformazioni melodiche della Romanza. Il concerto a cui abbiamo assistito terminava con un fuori programma, il Kaiserwalzer di Johann Strauss jr.

Scelta ovvia? No, perché il suono dei Viennesi quando arriva il tempo in tre quarti cambia, diventa ancor più terzo e il fraseggio s'innerva di un mordente unico, dimostrando quanto J. Strauss figlio sia compositore che non sfigura accanto a Mendelssohn, Schumann e Brahms. Bentornata Musica!

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