Come ridicolizzare l'Urss e far impazzire il Kgb

Tra il 1959 e il 1965, due scrittori sotto pseudonimo fecero satira antisovietica. Erano Sinjavskij e Daniel'

Nel 1959 e fino al 1965 cominciarono a uscire clandestinamente dalla Russia verso l'Occidente un saggio, poi dei racconti, infine un romanzo, il cui autore si chiamava Abram Terc. Nel primo era preso di mira, caricaturandone gergo e stile, il realismo socialista, considerato pietra angolare su cui doveva poggiare la letteratura così come l'arte nell'Urss. I secondi rientravano in una sorta di realismo fantastico: indovini capaci di leggere il futuro e che però non riuscivano a prevedere l'avvento del comunismo; scrittori mediocri, e che si ritenevano tali, ma afflitti da inguaribile grafomania; aule di tribunali dove la giustizia risultava incomprensibile. Quanto al romanzo, raccontava di una piccola città sovietica Ljubinov, che metteva in atto una secessione dalla grande madrepatria, e di come una volta Lenin avesse ululato alla luna: «Controlla che non ci sia nessuno intorno, getta indietro la testa calva...».

A ruota degli scritti di Terc cominciarono anche ad apparire i racconti di un certo Nikolaj Arzak: in uno, Le mani, era in scena un valoroso cekista le cui mani si mettevano a tremare nell'istante in cui doveva sparare a bruciapelo a un pope. Lo mancava, ci riprovava e lo mancava di nuovo, un incubo. Poi si veniva a sapere che i suoi compagni per fargli uno scherzo avevano caricato il suo Nagant con cartucce a salve. In un altro, La giornata degli omicidi organizzati, si ironizzava sul calendario sovietico e sulla sua mania commemorativa. La Giornata della guardia di frontiera, la Giornata dell'inventore, la giornata del fresatore, la Giornata del minatore... E dunque, perché non una in cui si aveva il diritto di uccidere qualunque altro cittadino, tranne alcune eccezioni debitamente elencate?

I due pseudonimi Terc e Arzak vennero subito messi in conto a «controrivoluzionari ebrei», bestia nera del Pcus e che solo l'improvvisa morte di Stalin aveva salvato da quella inventata «congiura dei medici» che ne avrebbe dovuto fare piazza pulita. Poi un sottufficiale di polizia specializzato in delitti comuni fece presente ai suoi superiori che c'era una canzone della mala in cui si parlava di «Abrack Terc, ladro leggendario, e Sonja la puttana famosa in tutto il Paese» e lo stesso valeva per Kolja Arzac, un teppista che per quanto armato di un coccio di bottiglia veniva sgozzato perché «non merita di vivere chi è stato così stupido da andarsene in giro senza il suo coltello».

Il venir meno del «nemico giudaico» non restringeva però più di tanto il campo di indagine, perché l'amnistia post-stalinista voluta da Chruscev per marcare il nuovo corso, il cosiddetto «disgelo», aveva rimesso in circolo nella società russa tanti di quegli ex galeotti che era praticamente impossibile isolarli rispetto a quei loro compagni che al gulag erano riusciti a scampare, anche se non sapevano bene il perché.

Perché i servizi di sicurezza sovietici si intestardissero nella ricerca della vera identità dei due scrittori, può lasciare perplesso un lettore con poca dimestichezza con le pratiche del totalitarismo. In fondo, né Terc né Arzak criticavano nei loro testi l'ideologia o la politica comunista, tanto meno si lamentavano della mancanza di libertà, delle logiche repressive, e non era nemmeno preso di punta lo stalinismo, cosa che avrebbe comunque messo in azione la cosiddetta dialettica marxista: «È giusta la critica all'opera di Stalin, ma si deve anche mettere in risalto la grande importanza che essa ha significato»...

Il fatto è che, per quanto esenti da sottigliezze critico-letterarie, quelli del Kgb e dintorni si rendevano perfettamente conto che la satira era un'arma altrettanto micidiale dell'opposizione politico-ideologica in quanto tale. Chi in buona, chi in cattiva fede, credevano nella retorica positiva del comunismo e vedersela sbertucciata, più che una critica o un'offesa era un delitto contro lo Stato. A ciò si aggiungeva, come dire, il farlo senza permesso... Come si permettevano, è il caso di dire, di farsi pubblicare all'estero senza aver chiesto prima l'autorizzazione?

Per farla breve, dopo cinque e passa anni di indagini frustrate e frustranti i membri dei cosiddetti «uffici competenti» vengono a capo del rebus e un mercoledì mattina, il giorno ideale per attività del genere, lontano dal week end, con i suoi uffici chiusi e gli impiegati in relax, arrestano in una strada di Mosca Andrej Donatovic Sinjavskij, 40 anni, studioso di tutto rispetto, nonché fresco prefatore dell'opera poetica di Boris Pasternak, di cui gli «uffici competenti» hanno autorizzato la pubblicazione proprio per mettere fine alla «canea» che l'Occidente agita intorno a quel nome, il Nobel che gli è stato dato e che lui non ha potuto ricevere, dopo che il suo Dottor Zivago è uscito di straforo in Italia per un editore, per di più, comunista... «Avete detto Pasternak? Eccolo qui, il vostro idolo, godetevelo!» è la molla che ha spinto Mosca a dire che sì, in fondo, Pasternak è veramente esistito e loro non sono un orribile regime totalitario... E ora viene fuori che il prefatore ufficiale di Pasternak, quello che nella sua prefazione parla solo della poesia di Pasternak e non scrive una riga sull'uomo, sul suo essere un esempio negativo (gli è stato chiesto, si è impuntato, alla fine hanno lasciato perdere) è il «nemico del popolo» Terc...

C'è da impazzire. «Propaganda reazionaria verso lo Stato» nonché «contrabbando all'estero» dei suoi scritti è l'accusa. Sette anni di pena in un campo a regime severo è la condanna. A ruota è stato arrestato anche l'altro autore sotto pseudonimo, al secolo Julij Daniel'. Saranno processati insieme, in un processo che farà scalpore, perché nessuno dei due si dichiara colpevole né si pente, non c'è la confessione né la richiesta della giusta punizione né l'estremo atto di sottomissione all'idea e al Partito che la incarna. Sotto questo aspetto, i «processi» di Stalin sono un ricordo del passato. Il gulag no, ma, come avrebbe detto Terc, non si può avere tutto dalla vita...

Gli uffici competenti (Einaudi, pagg. 222, euro 19, traduzione di Giuseppe Girimonti Greco e Ezio Sinigaglia) è appunto il titolo del libro con cui Iegor Gran, che altri non è che il figlio di Sinjavskij, ha scritto sulla vicenda paterna. All'epoca dell'arresto aveva un anno e nel 1973, quando, scontata la pena, quest'ultimo ottenne di poter espatriare in Francia, insieme con la madre fu anch'egli spedito oltre confine... In Francia, Gran è a sua volta divenuto un romanziere (un suo libro, Ipso facto, è uscito in Italia per Mondadori) e, come Gli uffici competenti dimostra, ha ereditato dal padre la stessa vena satirica che trasformò quest'ultimo in esule politico. Gran infatti non scrive un saggio più o meno indignato o più o meno informato o più o meno critico su totalitarismo, censura, diritti calpestati e verità negate, ma traccia un ritratto esilarante di quella Russia post-staliniana che manda Gagarin in orbita, ma non riesce a mandare la frutta nei negozi di alimentari dello Stato, che propaganda le canzoni patriottiche, ma si ritrova alle prese con le incisioni clandestine di jazz, dette «jazz delle ossa», perché incise su lastre radiografiche recuperate in qualche ospedale...

I nemici del socialismo sono le penne Bic, i blue jeans, quelli originali, contrabbandati anche grazie al turismo, e quelli made in Bulgaria e quindi contrabbandati dai Paesi fratelli del Patto di Varsavia... E che dire della Pepsi cola, che gli agenti del capitalismo introducono con assaggio gratis nel grande padiglione americano che proprio Chruscev ha voluto ospitare a Mosca in nome della distensione, ma anche della parità fra potenze? Vedete, non abbiamo paura di voi...

Del resto, per un premio Nobel immeritato a Pasternak ce n'è un altro, strameritato a Solochov, l'autore di Il placido Don che trasuda realismo socialista, sudore di fabbriche, sudore di kolkhoz, in ognuna nelle sue innumerevoli pagine... Quello stesso Solochov che da Stoccolma se ne starà sordo e muto rispetto agli appelli a favore dei due scrittori incarcerati che gli piovono addosso da tutte le parti. Ma che, dopo la condanna, farà finalmente sentire la sua voce, dalla tribuna del XXIII congresso del partito: «Teppistelli dall'animo tenebroso, lupi mannari. Se fossero stati beccati negli anni Venti, quando si giudicava guidati dalla propria coscienza rivoluzionaria, credetemi, non avrebbero ricevuto una pena così mite».

E infine c'è Chruscev.

Che ha cercato di farsi andar bene Picasso e l'arte astratta, ma l'impresa si è rivelata superiore alle sue forze, che si è addormentato alla proiezione privata di Otto e mezzo di Fellini, che ha inasprito le pene, fino alla pena di morte, per chi contrabbanda dalla valuta agli abiti, alla vodka, e che nel 1964 viene mandato a casa «in considerazione dell'età avanzata e del peggioramento delle sue condizioni di salute». Il disgelo torna nel congelatore, è troppo pericoloso. È l'ora di Breznev e, insomma, non cambia mai niente, compagno! Andranno ibernati così, fino al 1989...

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