Qualche anno fa, Marco Travaglini mi mostrò uno dei tanti cimeli dello zio, il ballerino, pittore, agente segreto e uomo di mondo Alberto Spadolini (1907-1972), discepolo di Gabriele d'Annunzio, amante di Joséphine Baker, adorato da Paul Valéry e Marlene Dietrich. È una cartolina del 1957, con il disegno di un buffo gatto nero, firmata Feliks Jusupov, l'aristocratico russo che aveva accoppato Rasputin, amico di Spadolini da anni. Di sgargiante bellezza, educato a Oxford, marito della nipote dello zar, Jusupov aveva eliminato il santone-stratega nella notte tra il 16 e il 17 dicembre 1916, nel palazzo di famiglia. Ucciderlo fu impegnativo, pare che Rasputin covasse sette vite. Sloggiato a Parigi, dopo aver recuperato un paio di Rembrandt e la «Pelegrina», una delle perle più grandi, preziose e fatali al mondo, passata, dal XVI secolo, sul collo dei maggiori reali d'Europa, Jusupov conservò fama sinistra: era l'uomo che aveva osato ammazzare un demone. Pare che a Spadolini, originario di Ancona, il principe Jusupov abbia regalato, insieme al carlino «Mouffy», la sedia su cui fu ucciso Rasputin - e di cui non v'è traccia certa, ma alcune fotografie e svariate copie.
Il fatidico Grigorij Rasputin, mistico e consigliere dei Romanov, è al centro di un romanzo oceanico e cinematografico di Dmitrij Miropol'skij, scrittore russo di vasta fama, tradotto in Italia da Fazi come L'ultimo inverno di Rasputin (pagg. 778, euro 20; da domani in libreria - in verità il titolo originale, più criptico, suona come 1916. Guerra e pace). L'omicidio del santone, che accade suppergiù dopo 550 pagine, finalmente risolto in una formula narrativa concreta e non macchiettistica, sancisce la fine di un'era: intorno ad esso, si alternano decine di figure storiche, sotterfugi, arcane superstizioni, letterati arcadici e straccioni, potenti incompetenti, da Osip Mandel'stam a Winston Churchill, da Adolf Hitler («il noioso e ordinato Hitler», all'epoca allineato tra «i pittori senza talento») a Alfred Redl e Anna Achmatova. Non c'è alcuna morale nel romanzo, ma avventura, velocità, cambi di scena tonanti. Il libro si chiude sul suicidio di Vladimir Majakovskij, altro personaggio capitale in questo romanzo storico e picaresco. Anche Boris Pasternak, serrando la sua straordinaria autobiografia, Il salvacondotto, si ferma sulla morte di Majakovskij, «a cui la novità del tempo scorreva climaticamente nel sangue». Sparandosi, in realtà, il poeta aveva sparato al cuore della Russia.
Miropol'skij, nel suo romanzo emergono con prepotenza due figure, quelle di Rasputin e di Vladimir Majakovskij. La storia russa pare incarnarsi in questi due personaggi, che incantano, in modo diverso, attraverso l'uso delle parole. Cosa la ha portata a scrivere questo libro?
«Nel libro ci sono molti personaggi che rappresentano i vari strati della società russa di più di un secolo fa: l'ambiente creativo, l'alta società, la polizia, il clero, i servizi segreti... I nomi di persone reali sono così tanti da riempire un elenco telefonico. C'è solo un personaggio del tutto immaginario: sfido i lettori a identificarlo. Certamente, pur in assenza di un vero protagonista, Rasputin e Majakovskij sono i simboli di quell'epoca. Rasputin era un contadino di mezza età, capace di stabilirsi nella capitale, di guadagnare senza fare lavori pesanti, fino a diventare intimo dell'Imperatore. Majakovskij - giovane gentiluomo, intellettuale proletario - voleva fama e denaro e ha avuto fama e denaro. Entrambi furono fortunati, energici, dotati di grande talento. Sia Rasputin che Majakovskij, è vero, padroneggiavano la lingua in modo brillante, pur con melodie e metodi completamente diversi. Ogni persona è unica, eppure l'unicità di Rasputin e Majakovskij mi è parsa assoluta: i destini di questi due personaggi, la loro vita e la loro morte, sono uno spettro attraverso cui studiare alcuni eventi decisivi per la storia della Russia e del mondo. Il romanzo, in sostanza, è nato come atto d'amore verso la mia città, l'antica capitale dell'Impero russo, verso gli uomini che hanno fatto la storia della Russia, e per capire cosa ci differenzia, oggi, da ciò che è capitato allora».
Tra i personaggi secondari, per così dire, appaiono Hitler (in una specie di cameo) e Winston Churchill: cosa la affascina di queste personalità descritte in circostanze particolari, inattese?
«Mi interessa il mondo interiore di quei personaggi in un certo momento della loro vita. Che cosa è accaduto al loro inizio? Quali decisioni hanno preso, o avrebbero potuto prendere? Ci sono sempre aspetti nelle biografie di uomini capitali a cui non si attribuisce particolare importanza. Ecco, io mi inserisco lì. Ad esempio, ciò che scrivo di Lenin, della sua vita in Europa, ha sorpreso i lettori russi che non ne sapevano letteralmente nulla. Soprattutto, è stato necessario tracciare un profilo in carne e ossa di Rasputin, autentico, al di là del personaggio stilizzato, da film dell'orrore, a cui siamo abituati».
Tra l'omicidio di Rasputin e il suicidio di Majakovskij pare consumarsi una parte della storia russa: che giudizio ne dà?
«Non giudico, narro. Il mio compito è trasmettere ai lettori informazioni a loro ignote. E farlo in forma affascinante. Sono i lettori, piuttosto, a poter giudicare l'interpretazione che offro di certi fatti storici, e giudicare i meriti o i demeriti letterari dei miei libri».
Nel suo romanzo spiccano gli uomini di potere e i poeti. Chi la affascina di più?
«Mi affascinano le donne. E, tra i personaggi storici, mi interessano gli individui, uomini o donne, forti o fragili. Chi appare debole, spesso agisce semplicemente in modo diverso da come si aspettano gli altri. E chi pare forte, vista la sua posizione elevata nella scala sociale, in verità si rivela debole. Uno scrittore deve mostrare personalità complesse, consentendo a chi legge di guardare un personaggio familiare da una prospettiva insolita».
Chi potrebbe essere Rasputin oggi?
«Un uomo diventa un personaggio storico quando è il suo momento. I ruoli interpretati da Rasputin, oggi, li possono giocare diverse persone, perfino dei gruppi. Oggi, comunque, una persona come Rasputin, così vicina al capo di stato, in Russia sarebbe impossibile: i governanti sono estremamente distanti dal popolo, le barriere insormontabili».
Quale valore ha la letteratura in Russia? Poesia e romanzo agiscono nella società, nella politica?
«Il ruolo della letteratura è irrazionale, la sua valutazione soggettiva. Non possiamo parlare per assoluti, ma per parametri relativi: ad esempio, confrontando il modo in cui la letteratura ha influenzato i processi sociali cento, duecento, trecento anni fa, rispetto ad oggi. Beh, oggi influenza, fama e ruolo degli scrittori sono molto inferiori rispetto ad allora. Probabilmente, è vero che i titani dello spirito, i titani del pensiero tra scrittori e poeti sono inferiori oggi rispetto ad allora. O forse i grandi autori si dissolvono nella massa».
A quale romanzo sta lavorando?
«Il mio ultimo romanzo storico, Il segreto dei Tre Sovrani, è
stato un bestseller in Russia, nel 2017: ha venduto oltre 200mila copie cartacee. Sto lavorando al secondo tomo di questo romanzo. In più, scrivo sceneggiature per cinema e televisione, insegno, e, insomma, non mi annoio».
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