Poche volte, nella sua Storia, che parte dal 1778... la Scala di Milano non ha alzato il sipario a dicembre per la Prima della stagione. A parte i due anni, dal 2002 al 2004, degli ultimi restauri, quando le rappresentazioni si spostarono al periferico Teatro degli Arcimboldi, accadde solo in due occasioni. Nel 1897, quando il Comune, causa emergenze sociali, decise di sospendere il proprio contributo al teatro: niente soldi, niente Opera. E poi per due stagioni dopo i bombardamenti alleati sulla città, nella infuocata estate del '43.
Moti, guerra, e Covid.
Il virus è implacabile, fa danni enormi. Ma la paura del virus può essere ancora più devastante, e farne il doppio.
Ieri il Consiglio di amministrazione della Scala, «preso atto che non sussistono le condizioni per provare e realizzare una produzione aperta al pubblico e del livello e con le caratteristiche richieste per un'inaugurazione della stagione», ha fatto saltare la Prima della Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti insieme alle rappresentazioni previste per i giorni seguenti.
E così, niente 7 dicembre. Che - per Milano - è il vero inizio dell'anno, delle feste, della vita. Shopping, tradizione, smoking, pellicce, riti sacri (Sant'Ambrogio) e profani, spettacolo e cultura.
E che cos'è una grande città italiana senza la sua cultura, i suoi teatri, l'Opera, la mondanità, la sua eleganza - sì certo, anche i suoi eccessi, le sue polemiche, le solite proteste del 7 dicembre?
Milano è la Scala, e la Scala è la sua Prima. E adesso? Il sovrintendente e direttore artistico Dominique Meyer ora sta pensando a una proposta per una soluzione alternativa «di alta qualità» per la serata del 7 dicembre: forse un'altra opera in streaming, senza pubblico, o un concerto da mandare in diretta Rai, per onorare impegni e contratti già firmati.
Intanto, ieri, quando è stata comunicata la notizia della serrata, gli orchestrali non volevano crederci. Qualcuno è rimasto impietrito, altri hanno risposto con il silenzio alla rabbia. Altri ancora si sono stupiti: solo fino a qualche giorno fa Meyer, determinato ad andare in scena, aveva incoraggiato tutti con una lettera speranzosa, e per un attimo si è creduto che la Lucia si sarebbe fatta... Anche i sindacati spingevano per portare a casa l'Opera. E invece. Tutto saltato. Ieri è sfumata anche l'ipotesi, ventilata dopo la notizia di alcuni contagiati nel Coro scoperti nelle scorse settimane, di una Prima senza pubblico, a beneficio esclusivo della televisione. Ma niente. Teatro chiuso, per tutti. Inagibile, come quando c'era la guerra.
Ieri i bombardamenti, oggi il coprifuoco. Quando finirà?
Nel dicembre del 1897, quando La Scala, già sotto il controllo e la gestione della Municipalità milanese, fu costretta a rinunciare allo spettacolo per la mancanza delle sovvenzioni comunali, davanti a un teatro deserto in luogo della consueta folla di carrozze, qualcuno appese un cartello listato a lutto che diceva: «Chiuso per la morte del sentimento dell'arte, del decoro cittadino e del buon senso». E oggi, cosa si scriverà? «Chiuso per Covid»?
Abbiamo perso il senso dell'arte, il decoro, e anche una certa eleganza che andrebbe mantenuta persino nelle tragedie.
Questa è una tragedia. Chiudono i ristoranti e i bar, chiudono i negozi, chiudono i musei, i teatri di fatto erano già chiusi, e ora tocca anche al Teatro par excellence, La Scala. Simbolicamente se i simboli hanno importanza, e ce l'hanno: eccome è come se avesse dato forfait l'intera città. Milano nel mondo, del resto, per cosa è celebre? La moda, e la Scala. Ieri la notizia della Prima saltata ha fatto il giro dei siti di tutte le testate internazionali, da New York alla Spagna.
Il 7 dicembre, è chiaro a tutti, è ben più di una Prima. È molto più anche di un'Opera. È un rito. E quando una comunità comincia a perdere i propri riti... Cosa rimane? La Salute, certo. Che è tantissimo, ma non è tutto.
Del resto, sono stati gli stessi orchestrali a farlo notare, i protocolli di sicurezza, rigidissimi, sono sempre stati rispettati in questi mesi. E si poteva davvero pensare di portare in scena la Lucia di Lammermoor nel teatro vuoto che però - da remoto, come oggi piace così tanto a tutti - il mondo avrebbe potuto vedere e ascoltare. Sarebbe stata una ferita, ma non la morte. Sarebbe stato un segnale, per Milano e l'Italia. Per chi non vuole cedere al virus.
Hanno prevalso la sicurezza, la tutela della salute, forse anche il buon senso. Troppi rischi.
Ci siamo persi
la Prima (ed è un'altra cicatrice che resterà su Milano) ma - è stata la decisione della Politica e della Scienza - abbiamo guadagnato delle vite. Il cambio è naturalmente molto favorevole, per noi. Vediamo di meritarcelo.
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