Alla scoperta del mito di Resident Evil che ora diventa una serie per Netflix

Tutto pronto per il debutto su Netflix della serie ispirata a Resident Evil. Il videogioco della Capcom, violento e sanguinolento e già adattato per il grande schermo , ora cerca di conquistare anche il pubblico in streaming

Alla scoperta del mito di Resident Evil che ora diventa una serie per Netflix

Non esiste più un confine tra piccolo e grande schermo. Oggi si sono spezzate le barriere che delimitano anche il mondo dell’intrattenimento da quello videoludico. I giochi per console – che siano essi di strategia o a tema survival – hanno avuto un tale impatto nella cultura popolare moderna da ispirare film e serie tv che sono diventati poi un punto di riferimento per gli appassionati. Ad esempio, di recente, il fenomeno di Unchartedè stato adattato in un lungometraggio – riuscito a metà – con Tom Holland. Di sicuro quello che ha avuto più successo è stato il franchise di Resident Evil. Prodotto dalla Capcom nel 1996, il videogioco è diventato un film nel 2002 grazie a Paul W. Anderson che ha permesso alla saga di espandere ancora di più i suoi confini.

Dopo 7 film ispirati al mito di Resident Evil – l’ultimo funge da reboot -, ora il franchise si sposta in tv. O meglio in streaming. Dal 14 luglio è Netflix che cerca di far tornare in auge la saga videoludica con una serie tv. Il progetto in sé è un ottimo esercizio di stile, capace di attirare l’attenzione sia del fan di vecchia data che i nuovi "adepti", ma conti alla mano, la serie non convince fino in fondo dato che, pur conservando l’anima di Resident Evil, si concentra più sull’aspetto umano dei protagonisti. Ma, prima di capire se il progetto può funzionare o meno, rispolveriamo i punti forti (e deboli) del franchise.

Un virus e una pandemia mortale

La maggior parte degli eventi si svolgono nell’immaginaria città di Raccon City, situata nel bel mezzo del Midwest. Una città in cui si vive tranquilli e dove c’è poca criminalità. Tutta l’economia si basa sulla fiorente attività dell’Umbrella Corporation, una multinazionale che spazia in diversi settori e che ha dato lavoro alla maggior parte dei cittadini di Raccon City. È nelle profondità del sottosuolo e nell’Alveare che la corporazione nasconde molto bene i suoi traffici e le sperimentazioni illecite. Proprio un virus che è stato creato nel laboratorio dell’Umbrella sfugge al controllo degli scienziati e esce fuori dall’Alveare per contagiare l’uomo.

I vertici cercano di minimizzare, ma quando i contagi cominciano ad aumentare, la situazione sfugge di mano. La caratteristica di questo virus, concepito come mortale arma batteriologica, è quella di trasformare gli esseri umani (animali compresi) in cannibali voraci di carne e sangue. E il contagio si trasmesse attraverso un morso o il semplice contatto fisico. Per i sopravvissuti comincia una lotta contro un nemico insidioso. Da questo incipit prende forma la storia del videogioco che, tra prequel, sequel e spin-off, delinea un puzzle in continuo movimento, creando un universo in continua espansione.

Una saga da oltre 123 milioni di copie

Resident Evil non è un semplice videogioco. È come se fosse un universo che vive di vita propria. Lo sviluppo inizia nel 1993 proprio da due disegnatori giapponesi della Capcom. L’intenzione era quello di dare vita a un’avventura violenta e sanguinolenta che potesse seguire un filo unico narrativo, con la possibilità di giocare con personaggi diversi e passare di livello superando alcune prove. In pratica è il giocatore che può gestire le svolte della storia. Prima di approvare su Playstation nel 1996, l’idea di Resident Evil è stata utilizzata per un gioco del 1989 chiamato Sweet Home. Con i dovuti accorgimenti, il progetto è stato acquistato dalla Capcom che lo ha reso il successo che tutti abbiamo imparato a conoscere.

Si è evoluto nel corso del tempo senza mai perdere la sua identità. Ha avuto ben sei archi narrativi e svariati prequel e spin-off. Nella sua totalità sono 141 i titoli pubblicati e si contano ben 123 milioni di copie vendute in tutto il mondo. È stato concepito come un film, per l’appunto, con elementi come l'azione, l’esplorazione, il rompicapo e trame ispirate ai classici dell’horror. È riconosciuto il merito di aver popolarizzato il genere survival e di aver reintrodotto gli zombie nella cultura dalla fine degli anni novanta in poi.

Milla Jovovich diventa l’iconica Alice

Il fenomeno di Resident Evil diventa mainstream nel momento in cui, nel 2002, al cinema arriva il primo film ispirato al franchise. Paul W. Anderson sceglie Milla Jovovich (sua moglie) per portare sul grande schermo il personaggio di Alice. Anche se il film prende le distanze dal videogioco, la sostanza non cambia. Anzi, ci si trova di fronte a un horror di ottima fattura, che miscela azione e divertimento. Nel 2004 viene realizzato il sequel con stesso cast e regia. Anche se non è all’altezza del primo capitolo, il film si conferma un ottimo intrattenimento per gli amanti del genere. Il terzo avrebbe dovuto essere l’ultimo, ma a fronte di un successo da parte del pubblico, vengono prodotti altri tre sequel che, di fatto, snaturano il concetto stesso di Resident Evil. L’ultimo risale al 2016, e nel 2021 è stato realizzato anche un reboot (disponibile su Amazon Prime) di scarso successo e una qualità pessima.

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Un successo dalla formula super segreta

Tra alti e bassi, è impossibile negare che il franchise di Resident Evil non sia parte integrante della nostra cultura popolare. Che piaccia o meno, la saga ha avuto il pregio di re-inventare il genere dell’horror, parlando di virus, pandemie, lotte per la libertà e sogni di un futuro migliore. La sua formula segreta è proprio questa: ha dato uno sguardo al futuro del nostro mondo, raccogliendo le paure verso l’ignoto e dei grandi passi in avanti della scienza.

Sangue a fiumi e mostri terrificanti

Al successo, però, e come è giusto che sia, non sono mancate le critiche. I più conservatori hanno bollato Resident Evil come un "videogioco violento e diseducativo per i ragazzi". In effetti, non è proprio un prodotto adatto ai più giovani dato che, per tutta la durata del gaming, i giocatori devono imbracciare armi e difendersi da mostri famelici. E le critiche non sono vane al vento. Il gioco però è anche fatto di strategia, astuzia e intelligenza. Senza una strategia non si può passare al livello successivo. Quindi, nonostante tutto, se usato con parsimonia e con le dovute accortezze, può essere un gioco che aiuta a essere pragmatici, a non usare l’istinto e a ragionare sulle cose. Come può aiutare a favorire anche lo spirito di squadra. La violenza c’è, ma basta saper distinguere la realtà dall’immaginazione.

La serie tv come punto di svolta?

Dopo il cinema, ora il franchise cerca di conquistare anche il piccolo schermo. Il 14 luglio, in piena estate, su Netflix arriva la prima stagione delle serie dedicata a Resident Evil. Annunciata ben due anni fa, arriva in un momento di grande successo per il colosso dello streaming che, proprio con il genere horror e grazie a Stranger Things ha trovato il modo di riallacciare il filo con i suoi abbonati. 8 gli episodi per un binge watching di cuore e di pancia. Però, alla luce dei primi episodi che abbiamo visto in anteprima, la serie non è nulla di interessante.

Anche se resta fedele alla trama del videogioco, esplora la vita due ragazze adolescenti che vivono a Raccon City durante lo scoppio dell’epidemia. C’è poca azione e più introspezione per un racconto che vira su tematiche adolescenziali, come il bullismo e la discriminazione.

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