Sarà forse un'abitudine borghese («Possiede un cane», riportava sdegnata la scheda del KGB dedicata a Bulgakov), ma intanto precede la nascita della borghesia di ottomila anni, visto che alcune antichissime incisioni rupestri raffigurano uomini che tengono cani al guinzaglio. Che allora non sia, quella fra cane e padrone, una relazione profonda, quintessenziale? Scritto durante i mesi del lock-down, dei quali non eredita la tetraggine, ma solo la spinta alla riflessione, l'ultimo libro di Fabrizio Coscia (Nella notte il cane, Editoriale scientifica, pagg. 152, euro 13) prende in prestito il titolo a un verso di Sandro Penna.
L'eroe del volumetto è l'umano, troppo umano Pedro, un incrocio fra labrador e flat retriver dal lucidissimo pelo nero. Che l'autore in precedenza non nutrisse alcuna simpatia per i quadrupedi che abbaiano è un dettaglio importante: adottato per un impulso razionale allo scopo di addolcire un momento difficile della sua compagna, il cucciolo nel giro di un paio di settimane conquista il ruolo di protagonista, pur non disdegnando quello del villain («otto paia di infradito, i fili dei caricatori dei cellulari, il cibo del secchiello dell'umido, un numero imprecisato di mollette per i panni, mutande, reggiseni...» è il catalogo, parziale e in corso di aggiornamento, degli oggetti distrutti).
Malato di «infantilismo cronico, come tutti i retriver», Pedro sembra infischiarsene del fardello simbolico che i cani neri, proverbiali messaggeri dell'oltretomba, si trascinano dietro. Eppure è lui a svelare uno degli arcani maggiori: per perfezionare la condizione umana il rapporto con gli animali è indispensabile. Le bestie senza parola ci pongono di fronte a un bivio: possono ispirare ferocia, oppure spingerci a riconoscere la nostra fragilità.
Coscia è un autore che ha raggiunto una stima universale attraverso lo stile del saggio, un genere letterario basato su un confronto con i classici non subalterno e a volte rispettosamente polemico.
Ecco allora sfilare l'Argo di Ulisse, il Bauschan di Thomas Mann e Bessy, la cagna che strappa a Céline la pagina più commovente.
Come commovente è la scena in cui l'autore passeggia di notte sul lungomare del Golfo di Napoli e Pedro si rivela «una sorta di appendice, di prolungamento di me stesso; non coincide con la mia identità, ma la espande, e la solitudine a cui tutti siamo condannati non esiste più».
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