Il titolo originale del libro di Nastassja Martin, antropologa francese di 35 anni, è Croire aux fauves, cioè «credere alle belve», ma anche, per assonanza con fables, alle favole. Un gioco di parole intraducibile in italiano, dove il titolo è diventato Credere allo spirito selvaggio (Bompiani, pagg. 122, euro 15): e, in effetti, «credere» è un verbo fondamentale nel vocabolario di questa studiosa, esperta di popolazioni artiche dall'Alaska alla Russia, nel senso che ha vissuto, per mesi e mesi, con queste popolazioni, i Coriachi, gli Itelmeni, gli Eveni della Kamchatka. È proprio scendendo da un vulcano in questa terra all'estremità orientale della Russia che Nastassja incontra un orso. È sola. Lo guarda negli occhi. Lui la attacca: le conficca i denti nella faccia, poi nel cranio, poi in una gamba. Lei riesce a recuperare la picozza e a difendersi. A un certo punto, l'orso se ne va. Ha deciso di non ucciderla. Perché?
Questa è la domanda, di cui Nastassja svela la risposta intrecciando il diario della sua guarigione con la storia della sua tragedia - o meglio, della sua trasformazione. La guarigione è la rinascita in una vita nuova, che non è più quella di Nastassja, bensì di Nastassja e dell'orso. Scrive: «Quel giorno, il 25 agosto 2015, la notizia non è: un orso attacca un'antropologa francese da qualche parte nelle montagne della Kamchatka. La notizia è: un orso e una donna si incontrano e le frontiere fra i mondi implodono. Non soltanto i limiti fisici fra un umano e un animale, che confrontandosi aprono delle crepe sui loro corpi e nella loro testa. È anche il tempo del mito che si fonde con la realtà», il tempo degli sciamani, dei riti ancestrali, dei dipinti millenari sulle grotte, dei legami fra l'uomo e la più potente delle creature della foresta, l'orso.
L'orso non sopporta lo sguardo dell'uomo perché in esso si rispecchia, dicono gli Eveni. Eppure il destino di Nastassja è quello di incontrarlo, di entrare in lui come lui è entrato in lei. Il suo racconto è quasi magico, ci porta nel suo dolore senza mai dimenticare l'ironia: la degenza nell'ospedale militare russo, l'interrogatorio da parte dell'agente dell'Fsb, l'incredulità di medici, parenti e amici, i ricoveri in Francia, il ritorno in Kamchatka.
Tutto è singolare, in questo breve libro che racconta un'esperienza così intensa, così lontana dalla nostra realtà, da far riflettere profondamente su ciò che siamo, ciò che diventiamo e ciò che tanto gelosamente chiamiamo «identità». E su quanto, ancora, possiamo scoprire su ciò che di selvaggio e inesplorato vive dentro di noi.
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