«Non è un progetto, è una filosofia. Per una indipendenza nazionale a 360 gradi»: sono le parole del politico francese ed eurodeputato Florian Philippot, classe 1981 (già direttore della campagna di Marine Le Pen e suo ex braccio destro nel Front National, di cui era numero due) alla presentazione, nel novembre scorso, della «Carta» del movimento che ha fondato, «Les Patriotes». Nonostante il divorzio dal FN, Philippot rimane per i connazionali il «brillante enarca» che ha sdoganato il partito di destra radicale. L'intesa con la Le Pen era totale: celeberrimo il coup de foudre con lei nel 2009, in un caffè alla Porte de Saint-Cloud: Marine già sbadigliava all'idea di incontrare un funzionario statale, ma poi si ritrovò a dichiarare: «Dopo solo pochi minuti, mi sono accorta che io finivo le sue frasi e lui le mie». Eppure, per il 18 febbraio «Philippot I» come lo chiamano i francesi dopo l'uscita nel 2017 del libro inchiesta con lo stesso titolo ha indetto ad Arras il congresso fondativo del suo movimento, che conta al momento 6000 aderenti: «Un evento di lancio, conviviale», dice, ma dove un'Assemblea generale voterà statuto e istanze.
Lei è rientrato in corsa nella competizione elettorale francese, portando in dote i successi ottenuti con il FN. Tre capacità fondamentali per un comunicatore politico?
«Bisogna essere convinti di quel che si afferma o non si può convincere nessuno. Sinceri, perché la mancanza di sincerità in politica si vede subito. E semplici, concreti».
L'ingrediente efficace perché il messaggio arrivi a tutti?
«Nella mia esperienza personale, non bisogna cercare di piacere, ma dire quel che si pensa e basta. Ecco il segreto».
Ma non era il compromesso, il segreto?
«Il compromesso può essere una qualità o una necessità, purché non diventi compromissione».
Crisi della sinistra: che rimane della politica e che fa la destra?
«Ha ragione: c'è una crisi della sinistra. Ma c'è anche una crisi della destra. In sostanza c'è una crisi delle divisioni politiche tradizionali. La vecchia modalità organizzativa della politica, con la destra contro la sinistra, sta morendo. Ma crisi significa sempre transizione».
Dove stiamo andando?
«Verso una nuova partizione: quelli che sono attaccati alla nazione contro quelli che vogliono un grande insieme europeo o persino mondiale, in cui le nazioni e le democrazie non esisterebbero più. È per questo che ho creato Les Patriotes».
Chi sono i Patrioti?
«Stanno dalla parte di coloro che difendono una visione della nazione che sia moderna, ma dove la nazione continua a esistere».
E dall'altra parte chi c'è?
«Macron e quelli come Macron non sono né di destra né di sinistra. Perché sia a destra che a sinistra quelli che vogliono che la nazione sparisca si assomigliano».
Perché la nazione è così importante?
«Perché è un principio di realtà. Esiste. Se non si è legati al concetto di nazione, non ci può essere esercizio di democrazia. Il quadro di solidarietà, sofferenza, speranza, visione culturale comuni, il sentimento di appartenenza possono essere solo del popolo. L'idea di nazione permette di riunire persone altrimenti frammentate, isolate nell'individualismo».
Le radici che l'hanno ispirata in questa idea?
«Il mio più grande punto di riferimento è il generale De Gaulle. Sono gollista, lo sono sempre stato, vado tutti gli anni in raccoglimento sulla sua tomba. Lui è l'incarnazione del patriottismo illuminato: la Francia libera, l'indipendenza nazionale, la giustizia sociale».
Il ruolo che lei attribuisce alla nazione non potrebbe essere ricoperto dall'Unione europea?
«L'Ue non è un sistema democratico. Il potere se lo è accaparrato una piccola élite di gente non eletta, a Bruxelles o nella Banca Centrale Europea, che decide al posto del popolo».
La politica e la xenofobia.
«Bisogna essere intransigenti verso il razzismo, andare verso l'integrazione di chi viene da fuori. Per farlo, però, è necessario prima di tutto ridurre il ritmo dei flussi migratori, altrimenti l'assimilazione è impossibile. E combattere i flussi illegali».
La politica e il terrorismo islamico.
«Bisogna smettere di comportarsi da ingenui di fronte all'odio ideologico. In Francia abbiamo oltre cento moschee radicali identificate dal Ministero degli Interni. Vanno chiuse, perché diffondono l'ideologia terrorista islamica. Bisogna lavorare sulla sicurezza. Dobbiamo recuperare la gestione delle frontiere nazionali e allo stesso tempo proteggere i patrioti musulmani dalla pressione degli islamici fondamentalisti. Bisogna rifiutare che la Repubblica rinculi sulla laicità, sulla libertà delle donne, sulla libertà di credere o non credere. Il Daesh va combattuto anche con azioni quotidiane di riaffermazione dei nostri valori, specie nei quartieri dove da anni si è capitolato su questi temi. Non è solo una lotta di tipo militare, è una lotta contro il lassismo che ci ha caratterizzato: questa condotta non è accettabile».
Una delle grandi accuse mosse al Front National e in generale alle destre estreme è il «peccato» di populismo.
«Bisogna definire il populismo. Macron è populista quando dice che bisogna dare la caccia ai disoccupati, controllarli perché non cercano davvero lavoro. È del tutto demagogico: se non c'è abbastanza lavoro, non è colpa dei disoccupati. In Francia ti dicono populista se sei pro-Frexit, contro l'appartenenza all'Unione europea, come me. Ma è la nostra soluzione per difendere indipendenza e sovranità nazionale, che per noi è questione di fondo, non demagogica».
Lei sta scrivendo un libro: di che parla e quando uscirà?
«Entro qualche mese. E' un libro sul futuro, che presenta un progetto sulla Francia, su un patriottismo credibile, in cui parlo di ecologia, democrazia e spiego perché ho lasciato il Front National».
E sarebbe?
«Perché ha deciso di tornare indietro. Mentre io sono qui per qualcosa di più aperto e moderno».
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