Sinisgalli, calcoli poetici e fantasie matematiche

L'igegnere morto quarant'anni fa. Torna il "diario" di note e aforismi sulle due culture, scientifica e umanistica, tra fisica, arte, atomi, design

Sinisgalli, calcoli poetici e fantasie matematiche

Scienziato che volle farsi poeta, Leonardo Sinisgalli (1908-81) fu il giunto meccanico e lirico tra mondi differenti e culture antitetiche. Dall'ancestrale mezzogiorno d'Italia, Montemurro, Lucania, pietra arenaria e briganti, perno e principio dell'infanzia, al profondo Nord, Milano, business e grattacieli, dove lavorò, scrisse, inventò. Dall'arcaico di una sapienza popolare, che impregna i suoi versi, al nuovo di una Scienza che plasma il Novecento. Dall'umanesimo che applicò alla tecnica alla matematica che scandì in versi liberi. Dalla scienza fonte inesauribile di fantasia alla poesia che piegò alle più rigide formule matematiche. Da Virgilio a Einstein.

Ingegnere, si consacrò alle Muse. Poeta, si dedicò alla bellezza della macchineria ingegneresca. Le due Culture non furono mai così vicine. Volle restituire il mondo della tecnica ai non tecnocrati. E ci riuscì.

Esprit géométrique e furor mathematicus, Leonardo Sinisgalli, morto quarant'anni fa, il 31 gennaio, era uomo solitario, lucano, sistematico, vario - dall'appennino alle sonde - di carattere difficile e tormentato che, giovanissimo, nel '29, prima ancora di laurearsi in Ingegneria a Roma, si gettò dietro le spalle l'invito di Enrico Fermi a frequentare il suo istituto di Fisica. Avrebbe potuto unirsi al gruppo dei ragazzi di via Panisperna, pionieri dell'era atomica, preferì frequentare i locali e le notti romane: scrittori e artisti, Scipione e Mafai, Ungaretti e il caffè «Aragno», Libero de Libero e L'Italia Letteraria.

Letterato e matematico, critico e designer, autore radiofonico e disegnatore-amateur, poeta e direttore di riviste memorabili, pubblicitario e sottilissimo scrittore di cose d'arte, bibliofilo e plaquettista, ebbe curiosità poliedriche, sfaccettate, anfibie. Un esempio della vastità dei suoi interessi e della profondità delle sue passioni è un libro imperdibile, quello di un autore che il grande pubblico ha da tempo perduto: un registro di idee letterarie e fulgori matematici che fu pubblicato per la prima volta nel 1968 da Alberto Tallone, ad Alpignano, col titolo Archimede, i tuoi lumi, i tuoi lemmi!, un'edizione per pochi o nessuno; poi due anni dopo, nel 1970, arrivò in libreria per Mondadori come Calcoli e fandonie (con una nota di Gianfranco Contini) che è quello con cui viene oggi ripubblicato dalle edizioni Hacca nella collana «Novecento.0», in bilico fra classici contemporanei e futuro digitale, diretta da Giuseppe Lupo, altro lucano che ha trovato fortuna letteraria a Milano, e che è fra i massimi esperti dell'opera di Sinisgalli.

Calcoli, cioè l'esattezza. E fandonie, la verità incrinata. Un libro in cui confluisce molto del materiale che lo scrittore mise nella rivista di design e arti visive La botte e il violino fondata a Roma nel 1964 per conto dell'azienda Mobili Italiani Moderni, «Mim». Suddiviso in diciotto capitoli in capoversi brevi è una sorta di «diario politecnico», come lo ha ribattezzato Giuseppe Lupo, in cui sfilano - in una scrittura che per complessità e sfumature linguistiche non può non ricordare, da ingegnere a ingegnere, l'Ingegnere antonomasico della letteratura italiana, Carlo Emilio Gadda - pensieri, considerazioni, aforismi. Sulla letteratura, l'architettura, l'arredamento («Una materia sovrabbondante nasconde un difetto di linea. Il design deve rendere pubbliche le intenzioni»), la città, la civiltà («I meriti palesi della civiltà delle macchine sono il trionfo della dissipazione, dello spreco, contro la taccagneria e lo snobismo»), l'industrializzazione, il progresso («In una civiltà sempre più spinta non ci saranno ragioni per rispettare i vecchi. L'esperienza sarà il ricordo di un inutile tesoro»)... Ci sono illuminazioni su arte e industria («L'industria è seria, l'arte è futile»; «L'arte è nascita, la natura è la morte»), antimateria e Poesia, Leopardi (citatissimo), Morandi e Paul Cézanne, i quadri di Capogrossi che ricordano i simboli della Chimica e le tele di Rothko (dietro le quali «potrebbe esserci il Paradiso»). Logica e ordine. «Dove c'è diletto c'è peccato. Dove c'è gusto c'è perdita. Il piacere di scrivere o il piacere di dipingere stanno all'origine di tutti i manierismi, di tutte le mistificazioni».

Pro memoria: nel 1970, quando il libro Calcoli e fandonie diventa davvero pubblico, Sinisgalli è già Sinisgalli. Come poeta ha dato il meglio di sé, e Mondadori gli ha praticamente pubblicato tutto, in poesia e prosa; e come ingegnere e manager culturale ha ormai alle spalle una esperienza pluridecennale nelle grandi aziende italiane: l'Olivetti, dove era stato responsabile dell'Ufficio tecnico di pubblicità, la Pirelli, dove ha fondato l'house organ del gruppo; Finmeccanica, dove aveva fatto nascere la rivista delle due culture Civiltà delle macchine; e poi consulente di Alitalia, poi l'Eni, poi l'AlfaRomeo, dove aveva pubblicato la rivista Quadrifoglio... A quel punto della sua vita e dei suoi studi Sinisgalli aveva visto tutto, e dentro Calcoli e fandonie mise altrettanto: ed ecco il libro-multigenere, fatto di pieni e spazi bianchi, inquietudini e dubbi, certezze e insicurezze. «Quando l'uomo non sente più la voglia di vivere, che è voglia di edificare, butta a mare gli strumenti della geometria e torna allo scarabocchio». E ancora (leggete bene): «All'immagine del profeta, del vate, del cantastorie, del voyant, del superuomo, del maledetto, dello stregone, dell'allocco, del fanciullino, del figlio del sole, dell'immaginifico, dell'indovino, che cosa abbiamo sostituito? Un burocrate, un intellettuale, uno scriba, un copywriter». Se fosse qui, oggi, Sinisgalli aggiungerebbe anche: un influencer. «Il poeta non è più il vanto della tribù».

Stregone della moderna civiltà scientifica e luminare di una magica tradizione letteraria, Sinisgalli nelle riflessioni aforistiche di Calcoli e fandonie

è epigrammatico, balenante, folgorante come nei suoi versi. «Il poeta non canta in coro, non onora i vessilli. Non applaude, non fischia».

Straordinario, e fortunato, colui che sa tenere insieme le Bucoliche e i logaritmi.

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