Statistiche ufficiali di un anno fiorente come il 1952 avevano rilevato il seguente rapporto alimentare giornaliero nelle famiglie operaie e contadine. Scrive Oleg V. Chlevnjuk: «Il cittadino sovietico medio consumava circa 500 grammi di farinacei (pane in primo luogo), una piccola quantità di cereali, tra i 400 e i 600 grammi di patate e 200-400 grammi di latte o latticini. Questi gli alimenti base della dieta sovietica. Qualunque altra cosa, specie la carne, era riservata alle occasioni speciali. Il consumo pro capite di carni e prodotti derivati era attestato in media sui 40-70 grammi al giorno; quello di grassi (animali o vegetali, lardo, margarina) sui 15-20 grammi. Alcuni cucchiaini di zucchero e un po' di pesce completavano il quadro. Il cittadino medio poteva permettersi un uovo ogni sei giorni».
All'inizio del 1953 si registravano mediamente 4,5 metri quadri di edilizia residenziale per ogni abitante di centro urbano. Chlevnjuk: «Solo il 46 per cento dello spazio residenziale di proprietà dello Stato era provvisto di acqua corrente, appena il 41 per cento di tubature per le acque di scolo, il 26 di riscaldamento centralizzato, il 3 di acqua calda e il 13 di una vasca da bagno. Perfino tali cifre rispecchiavano il più elevato tenore di vita riscontrato nelle grandi città, specie le due capitali.
Impressionante indizio della crisi degli alloggi era la prevalenza di baracche cittadine fragili, provvisorie abitazioni comuni prive di impianto idraulico e il sempre più elevato numero di persone che vi registravano la propria residenza. Nel 1945, circa 2,8 milioni di persone vivevano nelle baracche, ma sette anni dopo se n'era aggiunto un altro milione. Solo a Mosca i baraccati erano oltre 337 mila».
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