Roma. Semplicemente amore. Una mano tesa che non importa a nessuno se venga dall'alto o dal basso. E, a conti fatti, quale direzione prenda. Dall'uomo a un altro uomo. Da quest'ultimo a un animale. E se il narratore d'eccezione è Papa Francesco, il senso laico lo ha espresso invece l'etologa britannica Jane Goodall.
«Se conoscessimo il rispetto e l'altruismo, il mondo sarebbe un posto diverso». Lui, il pontefice, alterna spagnolo e italiano per dire che «il futuro sta nel dialogo dei più anziani con i giovani» altrimenti non esiste domani. E Giovanni XXIII di «quando tornate a casa date una carezza ai vostri bambini e dite loro che gliela manda il papa» sessant'anni dopo, in un nuovo millennio, diventa il francescano «giocate con i più piccini perché essere padre non significa concepire. Quello è solo un atto biologico».
Stories of a generation con Papa Francesco è una mini docuserie di Simona Ercolani in quattro puntate che andrà in onda su Netflix dal 25 dicembre e ieri ne è stato offerto un assaggio alla Festa del cinema di Roma. Il pontefice prende per mano il pubblico e lo conduce all'incontro con quattro personaggi. Storie di un amore incondizionato e non pensato. Voluto. Rincorso. Sospirato. E lacrime che inevitabilmente scendono sulle gote di protagonisti che il sentimento ha cambiato. Perché sono anziani che si raccontano ai ragazzi. E non importa se sono volti celebri come quello del regista Martin Scorsese o il gelataio di Lampedusa.
Ancor meno se è Estella Barnes de Carlotto, presidente delle Nonne di plaza de Mayo dal '77, o semplicemente Jane Goodall che sente il suo amore per gli animali da bambina. Leggendo Tarzan. E si scopre gelosa perché «sì, diciamocelo, ha scelto la Jane sbagliata».
Il comune denominatore è sempre quel brivido che Francesco descrive con poche pennellate. «Non abbiate paura di essere vicini al prossimo ma sappiate che questo non avviene attraverso il compatimento bensì condividendo la sofferenza o immedesimandosi al posto dell'altro».
E traduce. «Ai preti spiego che l'estrema unzione non va data con una parola di asettico conforto ma mettendosi davvero dalla parte del malato». Qualcosa che il gelataio Vito Fiorito ha imparato a sue spese la sera del grande massacro. A Lampedusa è arrivato a cinquant'anni, sconfitto da un'unione coniugale finita e due figli ai quali non ha saputo dare il bacio che nemmeno lui aveva ricevuto dai suoi genitori.
Quella notte di ottobre aveva preso il mare con pochi amici. Per gioco. E di lì a poco uno dei peggiori naufragi della storia delle migrazioni lo ha chiamato in causa. E Gamar, la sua barca, si è trasformata in un braccio amorevole verso chi stava affogando ma è stato salvato davanti a qualcun altro che invece è andato a fondo per davvero.
Oggi qualcuna di quelle vite lo ha adottato come padre. Nel senso di salvatore. E sa di essere viva per merito suo.
Anche la storia di Scorsese è legata a una figlia. Dopo Cathy e Domenica, avute dai primi due matrimoni, falliti subito dopo una paternità che non è mai stata presenza, solo con le quinte nozze in tarda età ha avuto Francesca.
Nel docufilm è proprio lei a intervistarlo, lasciandosi raccontare la storia della sua stessa nascita. Fallimenti sentimentali e paterni. Ricerca di nuovi successi lontano da vecchi errori. Amore e sorpresa. Gli stessi di Estella, nonna di tutte le nonne di Plaza de mayo e, prima ancora, mater dolorosa di una figlia, svanita nel nulla dei rastrellamenti negli anni della «sporca guerra» e dei desaparecidos.
Laura si era esposta con la gioventù peronista e la giunta di Videla non ha avuto pietà per quella ragazza in attesa di un bambino, assassinata dopo il parto. Estella è una delle poche argentine ad avere una tomba in cui far riposare i resti della figlia martirizzata ma non aveva mai conosciuto il nipote.
È stato lui ad alimentare dubbi sulla famiglia
adottiva, indirizzando le ricerche fino al successo. «Così Laura vive ancora», spiega Estella, in questo giro del mondo della pietà e della misericordia che tocca tutti i continenti e mescola i volti di salvati e salvatori.
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