Fare la mossa del cavallo, essere sotto scacco, sacrificare un pedone, arroccarsi...
Sono tantissime le espressioni che a partire dal gioco degli scacchi sono transitate nella vita di tutti i giorni. Esattamente come gli scacchi sono fortemente sponsorizzati da molte accademie militari per affiancare la formazione dei loro cadetti. E anche in un campo come la letteratura, da La variante di Lüneburg a La mossa del cavallo passando per La regina degli scacchi, l'eco della sfida mentale che si combatte nel quadrato composto di 64 case riecheggia infinite volte.
Il fascino degli scacchi è complesso e spesso i grandi giocatori non sono i più adatti a spiegarlo. Il grande giocatore vive solo dentro la scacchiera. Soffre se il suo interlocutore non è in grado quantomeno di distinguere una difesa siciliana variante Najdorf dalla variante Paulsen.
Fa eccezione, una notevole eccezione, il saggio di Jonathan Rowson La mossa giusta. Il senso degli scacchi per la vita (Garzanti, pagg. 420, euro 19). Rowson è stato un grande maestro di scacchi, ma a un certo punto ha abbandonato il mondo del professionismo per dedicarsi allo studio della filosofia. Ora è il direttore del Social Brain Centre della Royal Society for the encouragement of Arts, Manufactures and Commerce. Ma gli scacchi restano per lui una palestra mentale perfetta per aiutare l'uomo nella comprensione del mondo che lo circonda. Scrive: «Gli scacchi sono solo un gioco nello stesso senso in cui il cuore è solo un muscolo... Gli scacchi non sono il significato della vita, ma simulano le condizioni necessarie per una vita piena di significato». E ancora: «Gli scacchi simulano il significato della vita perché sono un incontro rituale con la morte sotto mentite spoglie e ci consentono di sperimentare la responsabilità di restare vivi mossa dopo mossa».
Insomma siamo lontanissimi dalle raccolte di «regole», schemi e partite notevoli commentate che spesso portano la firma di grandi campioni. E anche lontani da ragionamenti astratti e letterari fatti sulla scacchiera. Rowson percorre la strada poco battuta di una analisi filosofica del gioco. E anche una analisi cognitivo comportamentale. Gli scacchi nel libro servono a ragionare di pulsioni umane, di sviluppo della concentrazione, di strategia, di autostima, di eros e thanatos. E anche di maniacalità domata. Perché non si può essere un grande campione senza lasciarsi assorbire dalla scacchiera. Ma Rowson questa maniacalità l'ha domata.
Rowson spiega perché gli scacchi non sono la vita ma possono aiutare a vivere, aiutarci ad attuare processi che ci rendono «reali».
La mossa giusta, nonostante il titolo, che occhieggia un po' a quello dei manuali per sentirsi manager in tre mosse, è un saggio molto alto e complesso, esistenziale. Come alto e complesso è il gioco da cui prende le mosse.
Cerca di portare il lettore sulle tracce del Thomas Henry Huxley di Un'educazione liberale: «La scacchiera è il mondo, i pezzi sono i fenomeni dell'universo, le regole del gioco sono ciò che chiamiamo le leggi della natura. Quanto al giocatore che siede dall'altra parte, non sappiamo chi sia».
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