Tanta Italia in gara ma non sarà facile

Sullo stato del cinema italiano, lo stesso direttore della Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia Alberto Barbera aveva messo le mani avanti durante la presentazione del programma

Tanta Italia in gara ma non sarà facile

Sullo stato del cinema italiano, lo stesso direttore della Mostra internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia, la cui edizione numero 79 si inaugura oggi, Alberto Barbera, aveva messo le mani avanti durante la presentazione del programma: «Ho scoperto che tutti durante la pandemia hanno fatto film. Ho visto più della metà dei 250 titoli prodotti quest'anno e molti sono al di sotto della soglia di qualità accettabile». Anche se, ovviamente, i titoli scelti da lui - ne abbiamo contati ben 24 sparsi nelle varie sezioni - «sono ottimi, eccellenti in alcuni casi». Chissà dove sta la verità. Anche perché solo un anno fa per Barbera «il cinema italiano è in stato di grazia». Un allarme che cade in un momento particolarmente difficile per il nostro cinema che in sala non sembra più trovare i favori di un tempo, anche se la quota di film italiani della prima metà dell'anno (16 per cento) è in linea con quella storica. In questo contesto risulta comunque curiosa la scelta di accogliere ben cinque film italiani in concorso anche perché, almeno a sentire i critici che hanno avuto la possibilità di vederne già alcuni nelle anticipate stampa, per ora il capolavoro assoluto sembra non esserci. Al Lido, solo nel concorso, vedremo il ritorno di Emanuele Crialese, a quasi dieci anni da Terraferma, che, ne L'immensità, ambientato autobiograficamente nella Roma degli anni Settanta, racconta della dodicenne Adriana che si fa chiamare Andrea ed è alla ricerca della sua identità di genere in una famiglia borghese con madre spagnola più empatica, interpretata da Penélope Cruz, e padre del Sud. Una tematica che torna prepotente ne Il signore delle formiche di Gianni Amelio, che qualche anno fa ha fatto coming out sulla sua omosessualità, sulla drammatica vicenda di Aldo Braibanti, l'intellettuale (anche mirmecologo), che, nel 1968, subì un processo per il reato di plagio per via dei suoi amori omosessuali. Elio Germano interpreta il giornalista dell'Unità che denuncia il caso andando anche contro la linea del quotidiano del partito Comunista il cui direttore finirà per censurarlo. Sui temi dell'accettazione si muove anche Monica di Andrea Pallaoro girato negli Usa e interpretato dall'attrice trans Trace Lysette. Sempre nel Midwest americano è ambientato Bones & All di Luca Guadagnino, film di cannibali con Taylor Russell e Timothée Chalamet. Chiara di Susanna Nicchiarelli cerca invece di dare la giusta importanza, in chiave femminista, alla figura centrale della santa offuscata da quella di Francesco D'Assisi.

La speranza è che, una volta nelle sale (il primo è quello di Amelio l'8 settembre), questi film non subiscano, come un boomerang, la profezia negativa del direttore di Venezia sul cinema italiano: «È una bolla, con il rischio di scoppiare: tantissimi soldi, tantissimi film, ma quando si arriva al confronto cruciale con il pubblico possono essere dolori».

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