Un ragazzo s'innamora di una ragazza. Sulle prime la ragazza ne è soltanto lusingata: a tutte le ragazze piace piacere. Ma ben presto anche in lei sboccerà l'amore. Il fratello della ragazza non gradisce: tutti i fratelli sono gelosi delle loro sorelle, riconoscono nel pretendente un nemico. Non gradisce nemmeno il padre della ragazza: tutti i padri sono gelosi della loro bambina, vedono nel nuovo arrivato un avversario. La madre della ragazza, gradisce: tutte le madri sono complici delle loro figlie, vedono nel potenziale genero un loro corteggiatore, soltanto differito in avanti di una ventina d'anni.
Somiglia all'embrione di un romanzetto rosa buono per tutti i tempi e per tutti gli spazi possibili e immaginabili che presenta nel Dna le non scritte, ma ferree, leggi parentali. Invece è farina del sacco di uno che i tempi e gli spazi, con tutto ciò che li abita, di qualunque natura sia, li ha proprio messi nel sacco, cioè se ne è impossessato per gettarli in un crogiolo, accendervi sotto il fuoco e mescolarli con la fantasia: il professor J.R.R. Tolkien. Per reggere i fili della sua complessa e labirintica epica, fra Lo Hobbit, Il Signore degli Anelli, Il Silmarillion, I figli di Húrin, i Racconti incompiuti e La storia della Terra di Mezzo, occorre, come si diceva una volta di fronte a un impegno gravoso, il libretto delle istruzioni... Anzi, occorre il Dizionario dell'universo di J.R.R. Tolkien della Società Tolkieniana (ristampato pochi mesi fa). O almeno dobbiamo passare giornate intere al computer compulsando tolkiengateway.net.
Ma qui, in Beren e Lúthien, il nuovo nipotino del professore, messo al mondo dal figlio Christopher tramite inseminazione artificial-filologica e pubblicato da Bompiani (pagg. 284, euro 22, traduzione di Luca Manini e Simone Buttazzi) il lettore, soprattutto quello non laureato a pieni voti in tolkienismo, può addentrarsi a cuor (quasi) leggero nella selva oscura. Gli basterà notare che nell'Indice «Beren e Lúthien» è scritto in maiuscoletto e spicca fra i vari capitoli di questo centone contenente rimandi, gemmazioni, variazioni, sovrapposizioni in su e in giù, a destra e a sinistra nell'immensa produzione dell'Autore. Quelli sono rami e fronde e minute foglioline che rischiano di confondere l'appassionato del genere. Invece «Beren e Lúthien», il tronco dell'albero, il cuore del libro, risalente a un secolo fa, non lo confonde, lo fa tornare bambino. È, infatti, una fiaba. Nera come gran parte delle fiabe, ma anche, come tutte le fiabe, lineare e conclusa (non ellittica o spiraliforme o cervellotica). Nasce proprio come abbiamo sintetizzato all'inizio, con il più semplice e il più pulito dei sentimenti, su cui ovviamente Tolkien si esercita alla sua maniera. Perché la lei, Tinúviel alias Lúthien, è un elfo e il lui, Beren, è un uomo. Perché lei fugge di casa (anzi dall'albero-cella dove l'ha confinata il burbero genitore) per raggiungere lui, incaricato dal subdolo suocero in pectore di portargli un silmaril, cioè una gemma incastonata nella corona del cattivo Melko, se davvero vuole convolare con la soave fanciulla. Perché la fatica di Beren sarà più ardua di quelle di Ercole messe insieme... Fra gatti infingardi o crudeli, cani mansueti o criminali, foreste impenetrabili, incantesimi pro e contro, è l'amore al centro della scena.
Lo stesso amore che ispirò a Tolkien questo palinsesto destinato a riemergere a più riprese nel suo corpus
letterario. Quello per la moglie Edith, la sua Tinúviel-Lúthien, l'elfo magico che proprio cantando come quello della fiaba l'aveva conquistato. E per la quale scrisse una collana di gemme sotto forma di romanzi e racconti.
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