Troppe parole e troppo sesso per una semplice storia lesbo

Il film del franco-tunisino Kechiche racconta la passione omosessuale femminile senza intenti "militanti". Ma le scene hard e l'intellettualismo alla fine stancano

Troppe parole e troppo sesso per una semplice storia lesbo

Se la protagonista di Jeune&Jolie era una diciassettenne prostituta per curiosità, e i protagonisti di L'inconnu du Lac un serial killer e il suo innamorato tropo sentimentale, La vie d'Adèle, di Abdellatif Kechiche, ieri in concorso, racconta in due capitoli l'amore fra una ragazza liceale e una studentessa delle Belle arti, il loro ménage, la rottura che ne seguirà. È come se la Francia, nel senso del suo cinema, non sapesse parlare d'altro, e trasformasse realtà esistenti, ma minoritarie, in una sorta di maggioranza intellettuale che fra sesso a pagamento e sesso omosessuale, celebra la propria vittoria in società. Tutto questo sullo sfondo di un Paese che ha appena legalizzato, fra mille polemiche, il matrimonio gay, affronta una crisi economica senza precedenti, s'interroga su un'«eccezione» francese che fra lingua, cittadinanza, laicità, confessione religiosa, non appare più così certa e, appunto così «eccezionale»... Di quest'ultimo aspetto, La vie d'Adèle offre peraltro uno spaccato interessante nel mostrare una scolarità dove l'inter-razzialità è ormai un fatto acquisito e ragazzi dai tratti asiatici o mediorientali si arrabattano a studiare Le relazioni pericolose o La principessa de Cleves, testi classici di una Francia che intanto ha cambiato volto.

Lungo tre ore estenuanti, che mettono a dura prova la pazienza dello spettatore, il film di Kechiche è soprattutto il racconto di una storia d'amore torrida e appassionata, dalla quale, sessualmente parlando, non è nascosto nulla. Lèa Seydoux, già qui a Cannes con Grand Central, ne è l'eroina, nella parte della più navigata, per età, cultura, interessi, fra le due amanti, ma la vera sorpresa del film è Adèle Exarchopoulos, bellezza esordiente che presta al suo personaggio tutti i languori, le passioni e gli eccessi dell'adolescenza, un'età dove si cerca ancora la propria strada, si è preda dell'entusiasmo, non ci si interroga sulle conseguenze.

La scelta omosessuale del film è, naturalmente, quella che fa più discutere e più facilmente si presta ai titoli di giornali, ma Kechiche, dopo aver tirato il sasso, ritira prudentemente la mano. «Non ho niente di militante da dire sull'omosessualità. Per tutta la lavorazione non mi sono mai posto il problema sul fatto che, sì, si trattasse di due donne... Avevo più l'interesse di raccontare una coppia, la coppia. Credo che il miglior modo di affrontare l'omosessualità sia il non vederla come tale, filmare come fosse una storia d'amore qualsiasi, con tutta la bellezza che ciò comporta».

Sotto il profilo della coppia, La vie d'Adèle racconta un rapporto di classe. La più giovane appartiene al ceto piccolo borghese, la più grande alla buona borghesia. La prima si realizza in un impiego alle scuole materne, la seconda aspira a una dimensione artistica: è pittrice, vuole essere riconosciuta come tale. Adèle, alla fine, verrà sacrificata al bisogno di riuscita sociale di Léa, alla sua necessità di avere anche come partner sentimentale qualcuna del suo stesso ceto, ambizioni, interessi. «La rottura nasce dal vuoto che nella coppia s'instaura - precisa il regista - ed è un vuoto che tutti abbiamo sperimentato. Ciò che mi interessava è che, malgrado il dolore e il vuoto, la vita continua, e con essa il lavoro, i doveri, ciò che si deve adempiere. Sotto questo aspetto, Adèle è un'eroina. Soffre, ma non abdica, non rinuncia alla propria strada».

Tutto ciò però nel film è soverchiato da un eccesso di parole, accoppiamenti e lacrime, come se il regista non riuscisse mai a staccarsi dalla storia e questa non riuscisse mai a decollare.

Passata un'ora ci si chiede se Léa e Adèle, dopo essersi esplorate fisicamente in ogni modo, faranno altro; dopo due, si respira di sollievo quando la coppia scoppia; dopo tre, il racconto di un'impossibile riconciliazione, si esce inneggiando alla vita da single. Possibilmente etero.

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