Troppo o poco speciali. Gli effetti di Livermore spaccano in due la Scala

La regia ha suscitato polemiche: per alcuni eccessiva, per altri non abbastanza spinta...

Troppo o poco speciali. Gli effetti di Livermore spaccano in due la Scala

Prima della Scala a bocce ferme. Il Macbeth di Giuseppe Verdi totalizza 12' di applausi per cantanti, coro, orchestra, dissensi per la regia, 2 milioni e 64 mila telespettatori per la diretta Rai. W Verdi, W il Presidente Sergio Mattarella al quale il pubblico chiede il bis, W i nostri teatri che a dispetto di quel che accade in mezz'Europa continuano a produrre come in fase pre-Covid. W la Scala che costruisce i 2/3 del bilancio con ricavi propri, un unicum. Alla sua quarta Prima consecutiva, non l'ha invece spuntata Davide Livermore, che non la prende sportivamente, a ragione del resto. Lavora a questo spettacolo da mesi e quotidianamente da ottobre, investe idee, energie, decine di collaboratori, poi il verdetto in pochi minuti e monosillabi (vedi buu finali).

Nel mare magnum di opinioni in libertà, abbiamo selezionato opinioni ragionate di chi ha l'occhio allenato: dagli studi e dal mestiere. «Livermore è artista di grandissima intelligenza e creatività. Detto questo, alla domanda se la regia di questo Macbeth fosse al servizio del testo, la mia risposta è no. Si è andati al di là» osserva Alberto Barbera, direttore della Mostra cinematografica di Venezia. «Ero in teatro, e forse certi effetti speciali e invenzioni grafiche rendono meglio in tv. La regia è comunque sovrabbondante. Capisco l'esigenza di avvicinarsi ai nuovi linguaggi. Ma siamo sicuri che i giovani guardino Macbeth in tv? Non penso. E allora, perché fare un'operazione che dovrebbe agganciare una platea inedita attraverso un canale che già in partenza non arriva a questa platea? Alcune cose poi erano insistite, all'ennesima risalita dell'ascensore, qualcuno magari ha sperato che si bloccasse per non vederlo più. Viceversa mi ha colpito la scena d'apertura, le immagini del viaggio nella foresta erano efficaci».

Vincente l'inizio di Macbeth anche per Gian Maria Tosatti, fra le varie cose direttore artistico della Quadriennale di Roma dove sta avviando un'area progettuale legata all'arte digitale. E qui sta il punto: ma il Macbeth del 7 dicembre scaligero usa veramente tecnologie innovative e linguaggi dirompenti oppure suonano tali per il solo vecchio mondo della lirica? L'Expo Dubai, di padiglione in padiglione, offre una serie di esperienze digitali immersive rispetto alle quali Macbeth è il Medioevo. Basta una visita alla mostra di Refik Anadol al Meet di Milano (centro internazionale di Cultura digitale) per comprendere che i tanto vituperati ledwall di Livermore sono l'oggi e ieri, più che il futuro. «Per i video, avremmo potuto vedere qualcosa di meglio, ma la resa è comunque sopra la media. È un settore in una fase di transizione dove il vecchio convive con il nuovo. Il punto è che il nuovo costa: lavorare con le eccellenze del computer graphic chiede cifre esorbitanti. La grande bellezza, per dire, aveva effetti digitali di livello infimo, in linea con budget italiani, a Hollywood ci sono altri investimenti. Per un videogioco finiscono sul piatto milioni di euro, a quei livelli ti puoi permettere immagini grafiche spaziali. Semmai in Macbeth ho trovato stellari le scenografie materiche. E aldilà di questo, Livermore fatto un lavoro marcatamente cinematografico, ma con rigore e forza decisamente teatrali nella gestione del palcoscenico e degli attori. Magari Lady Macbeth era sopra le righe, lontana dal dettato di Verdi e Shakespeare, non per colpa della cantante che è eccellente, Netrebko ha solo reso l'idea interpretativa del regista» (Tosatti).

«Questo Macbeth ha il valore di un esperimento. Mi ricorda il famoso treno dei fratelli Lumière, solo che lì si giocava sull'effetto meraviglia. Questo Macbeth invece o si schianta contro un muro perché tradisce le aspettative oppure apre una nuova strada. È un prodotto sperimentale, un qualcosa a metà che va sviluppato, una narrazione nuova dove l'esperienza fisica è ampliata dal digitale» spiega Giacomo Giannella, artista digitale, videogame art director, docente allo Ied e Ceo di Streamcolours. «A me è piaciuto. Ma chi vuole vedersi uno spettacolo d'opera è soddisfatto da soluzioni di questo tipo? Ho trovato difficile spiegare un Macbeth così a mio figlio adolescente, per dire. Io lavoro sulla rigenerazione delle immagini quindi ho avvertito familiarità con ciò che vedevo in tv, capisco però che in tanti si aspettino altro, forse qualcuno ha avvertito quasi un'imposizione di questa realtà distonica. Temo che queste nuove letture siano vincenti con opere contemporanee, ma stridano un poco con opere secolari come Macbeth.

Quanto ai parallelismi fra questo Macbeth e i videogiochi, la prima cosa che dico ai miei studenti è che il videogioco è un medium audio-visivo-interattivo. Il film è audiovisivo e il Macbeth visto martedì era un potenziamento dell'audiovisivo. Spero che sia utile per capire quale possa essere la nuova frontiera dell'entertainment legato al teatro».

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