Dal film Tutta colpa di Freud di Paolo Genovese, uscito nel 2014, è nata una serie dallo stesso titolo e ora disponibile su Amazon Prime Video.
Si tratta di una family comedy sentimentale che non avviluppa prima del terzo o quarto episodio, perché ci vuole tempo per sentire familiarità con i personaggi ed entrare nel mood giusto per godere del retrogusto agrodolce con cui la narrazione inquadra una serie di accadimenti.
Siamo a Milano, dove vive la famiglia Taramelli, composta da Francesco (Cludio Bisio), psicanalista cinquantenne, e le sue tre figlie: Emma (Demetra Bellina), Sara (Caterina Shulha) e Marta (Marta Gastini). L’uomo, abbandonato dalla moglie circa quindici anni prima, ha cresciuto da solo le ragazze che, divenute adulte, hanno lasciato il nido. Per una serie di eventi e scherzi del destino, però, stanno ora tutte tornando a vivere nella casa paterna. Emma, fresca diciottenne, rinuncia a trascorrere un anno a Londra dopo aver incontrato in aeroporto l’uomo (Luca Bizzarri) che potrebbe aiutarla a realizzare i suoi sogni lavorativi; Sara, in procinto di sposarsi, sente attrazione, come già le era successo in adolescenza, per una donna; infine Marta, archeologa, è reduce da una relazione sentimentale e professionale deludente con il Preside della sua facoltà universitaria. Di fronte a tanti imprevisti, lo psicanalista viene colto da attacchi di panico sempre più frequenti, al punto da decidere di andare in terapia dalla psichiatra Anna (Claudia Pandolfi). Le sedute, assieme alla presenza dei consigli spartani ma sinceri dell’amico di sempre, il romano Matteo (Max Tortora), lo aiuteranno a prendersi cura di sé.
Stavolta nei panni di produttore e sceneggiatore, Paolo Genovese lascia la regia degli otto episodi componenti la serie al bravo Rolando Ravello. La sua supervisione artistica, comunque, è felicemente palpabile. Rispetto al film d’origine, d’ambientazione romana, ci si sposta al Nord e Milano diventa un vero e proprio personaggio. Quanto al protagonista, convince nel passaggio alla serialità il cambio da Giallini a Bisio, attore più adatto del primo ad intrattenere laddove la chiave di volta dell’arco narrativo drammaturgico sia un'ariosa leggerezza. Con Max Tortora, inoltre, Bisio funziona benissimo: i loro personaggi sono legati da affetto fraterno e da confidenza di lunga data ma restano l’uno l’antitesi dell’altro, il che rende lo scambio tra i due un vero spasso. Anche le altre figure di contorno, affidate a Claudia Pandolfi, Luca Bizzarri e Stefania Rocca non avrebbero potuto avere interpreti migliori. Insomma, malgrado la sceneggiatura inizi a carburare sulla lunga distanza, "Tutta colpa di Freud" ha indubbiamente nel cast il punto forte.
Diverte e consola osservare come dietro la facciata di ogni personaggio, per quanto consapevole e indipendente, esistano le fragilità comuni a tutti gli esseri umani. In particolare, i tre modelli femminili incarnati dalle figlie, una volta alle prese con tempeste emotive destabilizzanti, reagiscono in modi non così diversi, a dimostrazione che nessuno possa esimersi dall'attraversare, a seguito di delusioni, le fatidiche fasi del lutto. La solidarietà reciproca nasce tra loro da un legame che non riguarda soltanto la sorellanza biologica ma l’essere sopravvissute alla comune prova dell’abbandono. Si può essere spavalda e cinica come Emma, sentimentale e masochista come Marta o insoddisfatta e imprevedibile come Sara, ma certe traversie esistenziali non colpiscono o risparmiano in base all'età, al livello d’istruzione, all'indole caratteriale o al contesto: arrivano e travolgono indistintamente, chi prima e chi dopo.
In “Tutta colpa di Freud” i personaggi, raggianti e depressi a fasi alterne, escono vivificati dai battibecchi (familiari e non ) e trovano nella propria duttilità il talento per superare i momenti di scoramento. Su ognuno di loro incombe inaspettato il prezzo da pagare per aver seguito l’istinto anziché la ragione, ma è nel disorientamento che emerge la verità cui aggrapparsi: la propria rete di affetti non attutisce soltanto le cadute ma anche il frastuono della mancanza di senso che accompagna certi momenti.
Altri temi compaiono, come quello della memoria nascosta nei luoghi (frequenti i flashback nati nelle diverse stanze della casa), e l’istinto materno (da quello atto a facilitare il transfert a quello universale di chi lascia tutto per seguire una ONG).
Il climax narrativo arriva alla fine del quarto episodio, dopo il quale si scatena un meccanismo a orologeria e si è condotti al finale di stagione attraverso una miriade di piccoli colpi di scena.
Ottima la gestione del ritmo: le diverse situazioni vengono portate avanti in contemporanea in modo fluido, punteggiate di infinite sferzate
comiche.Grazie all’alternarsi in scena di scontro generazionale e dinamiche di coppia, “Tutta colpa di Freud” è sicuramente una serie indicata per tutta la famiglia, purché si cerchi un disimpegno senza troppe pretese.
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