Un'immersione "totale" nell'universo di Kandinskij

Il pittore russo ha cambiato il primo Novecento con un'arte che è sinonimo di libertà. Esposte 80 opere e documenti

Un'immersione "totale" nell'universo di Kandinskij

Kandinskij vince su tutto. Ha la meglio sull'incredulità di questi giorni, sulla rabbia, sul dolore, sull'angoscia. Dopo una nuova notte di bombardamenti e di mediazioni sospese, ha senso rinchiudersi in un museo italiano per perdersi nell'arte di un maestro russo della tavolozza che è vissuto un secolo fa? Eccome se lo ha. Mentre da Mosca giungono gli annunci di chiusure dei più importanti musei e istituzioni privati di arte contemporanea (come il Garage di Dasha Zhukova o la VAC Foundation dell'oligarca Leonid Mikhelson), mentre il curatore e gli artisti chiamati ad animare il padiglione russo alla prossima Biennale d'Arte di Venezia dichiarano che nulla si farà in Laguna, il conforto (speranza forse è parola eccessiva) arriva da un gigante della storia dell'arte, il padre dell'astrazione: Vasilij Kandinskij.

Siamo a Rovigo: a Palazzo Roverella, come ormai di consuetudine, hanno appena confezionato una di quelle mostre che merita il viaggio in questo lembo di Veneto vicino all'Emilia. Fino al 26 giugno si incontra qui Kandinskij. L'Opera 1900-1940, una corposa mostra in dodici sezioni curata da Paolo Bolpagni ed Evgenia Petrova e prodotta da Silvana editoriale che cura anche l'interessante catalogo. «Di mostre intorno a Kandinskij in Italia ne sono state proposte parecchie negli ultimi anni, ma nessuna con ambizioni come quelle che noi ci poniamo», dice Bolpagni.

I numeri gli danno ragione: sono 80 le opere esposte accanto a libri, documenti, fotografie, un raro filmato d'epoca e cimeli. I prestiti e possiamo solo immaginare gli sforzi della diplomazia, in un momento così convulso sono notevoli, con lavori concessi dal Pukin di Mosca e dal Museo di Stato Russo di San Pietroburgo, per non parlare dello splendido Der Reiter (Sankt Georg) dalla Galleria Tret'jakov. Seguiamo il talento di Kandinskij per quattro decenni a partire da quando, nel 1889, partecipò a una spedizione etnografica nel lontano Vologda per studiare la vita dei sirieni, una popolazione finno-russa: lui che avrebbe tanto voluto buttarsi sulla storia dell'arte, ripiegò sull'economia politica. Non gli andò poi così male: quella spedizione cui la mostra dedica le prime due sale influenzerà notevolmente la sua produzione creativa successiva. Dai sirieni impara infatti il concetto di «ort», «spirito»: nella vita, e dunque anche nell'arte, la sensibilità e l'anima devono avere la precedenza sulla materia. Ed è su questa idea che si regge la mostra di Rovigo: seguiamo Kandinskij mentre, abbandonata la carriera di giurista in patria, girovaga in Europa per dedicarsi alla pittura e cercare la sua personale cifra. Si stabilisce in Baviera, a Murnau: la sua tavolozza è luminosa, brillante, vitale (l'opera da fotografare è Il Muro Rosso, del 1909). Gli anni Dieci sono un turbinio di esperienze anche grazie alla complicità con il pittore e musicista Arnold Schönberg (di cui in mostra vediamo anche un autoritratto): arrivano le improvvisazioni, con il colore che si libera dal disegno e dalla figurazione per seguire un ritmo tutto suo che è quello del pensiero, del cuore, dell'«ort». Davanti a Improvisation 34 (arriva dalla città di Karsan, nella Repubblica del Tatarstan), un inno alla libera espressione, ci si commuove. Difficile non pensare alla cronaca anche nelle sale successive quando il talento di Kandinskij rientrato a Mosca infastidisce gli intellettuali di regime. Troppo colore, troppa pensosa leggerezza, troppa libertà. Non c'è spazio in patria per una testa così, che ha ormai teorizzato il valore dello spirituale nell'arte. Negli anni Venti Kandinskij cerca ossigeno in Germania, approda nel fecondo laboratorio del Bauhaus e ripropone quell'idea di «arte totale» da lui già sperimentata anni prima con l'esperienza del movimento del Cavaliere azzurro insieme ad artisti come Paul Klee, cui la mostra dedica una piccola, ma significativa, sezione. Ora sono il cerchio, l'angolo, le linee rette a scandire le tele: l'astrazione si fa genuina, silenziosa, bianca. Non può finire così. Kandinskij rifugge ogni etichetta, la Francia diventa un nuovo porto sicuro, la luce del Mediterraneo ingentilisce le forme sulla tavolozza che diventa più giocosa, quasi surreale, finalmente pacificata. Kandinskij, che a lungo visse in bilico tra Mosca e l'Occidente pur ritenendosi russo fin nel midollo, visse la confusione della Rivoluzione d'Ottobre e la fame (fisica, spirituale) prima di scegliere di stabilirsi definitivamente in Europa, dal 1928 fino alla morte, avvenuta nel '44.

In giorni come questi la sua arte è significativa testimonianza della forza del libero pensiero che si svicola da ogni possibile barbarie. Si esce da Palazzo Roverella almeno un'ora e mezza dopo, perché questa è una mostra che merita di essere gustata con calma con l'anima medicata.

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