Torino. Romagna vista dalla luna è il titolo della masterclass di Elisabetta Sgarbi che ha i piedi ben piantati nella terra delle sue radici. Ospitata oggi, all'interno della trentanovesima edizione del Torino Film Festival, al cinema Massimo, la fondatrice e direttrice della casa editrice La nave di Teseo e del Festival Internazionale La Milanesiana dialogherà con uno dei massimi registi contemporanei, il russo Aleksandr Sokurov, proprio sul tema delle origini. Ci sarà anche la prima proiezione del suo filmino In Amazzonia e un concerto conclusivo degli Extraliscio, la band folk composta da Mirco Mariani, Moreno Il Biondo e Mauro Ferrara che Elisabetta Sgarbi ha contribuito a rilanciare.
Perché il titolo, che rimanda all'Amazzonia, per il Po della zona di Boretto?
«La parola Amazzonia l'ha pronunciata Mirco mentre stavamo navigando il Po dalle parti di Boretto. Avevamo finito di girare a il filmino della Nave sul Monte, ispirato a Werner Herzog, al suo Fitzcarraldo, proprio in Amazzonia. Il titolo nasce di lì, per (non) illustrare una canzone strumentale, Primavera notturna, scritta da Mirco Mariani e contenuta nel doppio album È bello perdersi».
Cosa rappresenta per lei questo fiume?
«È un'immagine che mi porto dentro, un paesaggio che rimanda a una storia, anche alla mia storia. A mio padre soprattutto, a Toni Cibotto. Poi quest'anno ricorre il settantesimo anniversario dell'alluvione del Polesine che ricordiamo ripubblicando Cronache dell'alluvione di Gianantonio Cibotto. È l'altro volto del fiume, di potenza distruttrice».
Lei ha registrato il marchio dei filmini, che cosa sono?
«È il tentativo di spostare i cosiddetti videoclip dalla parte del cinema. Ci è piaciuto, con Eugenio Lio, prendere un'altra strada, inversa al percorso classico con singolo e videoclip subito su YouTube. Con Extraliscio abbiamo pensato di passare prima per la casa del cinema, i festival. Le immagini non sono al servizio della musica ma dialogano con esse, alla pari».
In un'epoca in cui sono i filmoni a riportare in sala il pubblico, c'è spazio per il suo cinema?
«Il cinema è qualcosa di molto profondo che non coincide con le avventure della distribuzione. Ci sono film epocali che vivono in modo sotterraneo e che non hanno mai visto una sala, se non durante un festival».
Quali saranno i temi al centro della sua masterclass?
«I fantasmi. Le ombre. Le nebbie. E le navi».
Nel suo film Deserto rosa aveva già collaborato con Aleksandr Sokurov. Come è nato questo sodalizio?
«Da quando scoprii il suo Elegia di un viaggio, nel 2001 mi pare, grazie a Enrico Ghezzi. Oltre a Ghirri, la sfera della nostra collaborazione si è allargata sempre più, anche grazie ad Aliona Shumakova. La mia fondazione ha contribuito al restauro dei cinegiornali di Leningrado, opera somma di recupero storico di Sokurov».
Cosa la colpisce del suo cinema?
«La sua ampiezza, la sua profondità, la capacità tecnica di muoversi nelle professionalità del cinema. Ho rivisto qualche giorno fa Francofonia, il suo film dedicato al Louvre. Ci sono una quantità di piani narrativi, che respirano insieme, con una armonia tra testo, montaggio, fotografia che è strabiliante. E poi ha il dono della voce, la sua è bellissima».
Come si inserisce nel suo percorso di ricerca delle origini il progetto degli Extraliscio?
«Con Extraliscio volevo raccontare un mondo, ma anche trasfigurarlo. Non riesco a rappresentare un mondo, nel raccontarlo ci metto i miei fantasmi, le mie immagini.
Ho trovato in loro la forza irriducibile della vita, la sua energia. Il ballo, il fare ballare senza limiti di tempo, finché entra la luce dell'alba. La musica è questo miracolo, e la musica da ballo ne è uno degli aspetti più antichi».
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