Quel viaggio nell'Albania appena uscita dal comunismo

Nel 1990 dirigevo Chorus, una rivista di grandi ambizioni (forse troppe) voluta da Leonardo Mondadori: i migliori fotografi e le migliori firme in circolazione, articoli lunghi e approfonditi ma piacevoli, per una lettura distesa.

Quel viaggio nell'Albania appena uscita dal comunismo

Nel 1990 dirigevo Chorus, una rivista di grandi ambizioni (forse troppe) voluta da Leonardo Mondadori: i migliori fotografi e le migliori firme in circolazione, articoli lunghi e approfonditi ma piacevoli, per una lettura distesa. Nel 1989 stavamo preparando il numero 0 e mi ero perso giornalisticamente la caduta del muro di Berlino: andai da solo a dare le mie picconate.

Però, nel 1990 il giornale c'era, e stava per accadere qualcosa di curioso: l'Albania, unico Paese d'Occidente rimasto comunista, avrebbe festeggiato il primo 1° maggio (ripetizione necessaria) postcomunista.

Decisi di andare io, con la scusa che la missione era rischiosa, in realtà morivo dalla voglia. Ingaggiai un fotografo avventuroso - Gerard Bruneau, incrocio fra hippy e Indiana Jones, lunghi capelli biondi e ci iscrivemmo per tempo all'Associazione Italia-Albania, unico modo per entrare con un viaggio organizzato.

Firmai l'articolo Febo Anselmi, un po' perché non mi sembrava elegante che il direttore facesse anche l'inviato, un po' perché quello è il nome di mio padre, e sapevo che gli avrebbe fatto piacere. Il lungo testo è qua sotto, immutato se non per qualche ripetizione e qualche goffaggine risolte, in trent'anni qualcosa si impara. Anche le foto sono scelte fra quelle di allora, per ripercorrere un viaggio nel passato.

Se il passato serve per capire il presente e immaginare il futuro, c'è qualche altra considerazione da fare. Poco dopo quella spedizione, cominciarono a arrivare a Bari navi cariche di albanesi in fuga dal loro Paese, prima accolti con entusiasmo, poi con sospetto, infine con fastidio. Alcuni, in effetti, erano avanzi di galera, ma molti erano brave persone, oggi perfettamente integrate. Qualche anno dopo, a Milano, incontrai per caso Albert, ufficialmente la nostra guida, in realtà un agente della polizia segreta incaricato di sorvegliarci. Mi fece molte scuse per come si era dovuto comportare, ringraziò assai l'Italia e gli italiani per l'accoglienza ricevuta.

Ieri un elegante e gentile premier è venuto insieme a medici e infermieri del suo Paese arrivati per aiutarci. Conclusioni? Mi aiuta Philip Roth, in Pastorale americana: «La gente pensa che la storia abbia il respiro lungo, ma la storia, in realtà, ti si para davanti all'improvviso». E all'improvviso ci cambia.

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