Splendori e miserie della "Regina del cielo"

I testi in cuneiforme sulla dea sumera risalgono a 4000 anni fa. E narrano la prima storia d'amore

Splendori e miserie della "Regina del cielo"

Regina del cielo; Prima figlia della Luna; Stella del Mattino e della Sera; Luna Nuova, Primavera e ragazza; Luna Piena o Estate e donna. Sono moltissimi i nomi e le sfumature di Inanna, la dea della prima civiltà - i Sumeri - di cui ci sono pervenuti i testi, ritrovati su tavolette d'argilla risalenti a 4000 anni fa. Inanna è raccontata nel meraviglioso lavoro di Diane Wolkstein e Samuel Kramer, ora meritoriamente pubblicato da Mimesis, che presenta I canti di Inanna. Regina del cielo e della Terra nella bella traduzione di Franco Marano (pagg. 182, euro 14).

Sono testi incantevoli, su cui non è facile scrivere, ma che posso solo consigliare, molto ardentemente, a tutti i lettori. Perché Inanna, la «dea trionfante e vinta», è maestosa, è potente, è fulgida, ed è irresistibile: «saetta come un lampo sugli altipiani, il suo incedere notturno per i cieli gela con una buia brezza, i fiumi traboccano della piena del suo cuore». I canti qui presentati seguono il percorso della dea: dall'Albero di Huluppu, il racconto della creazione - che precede ed è riecheggiato nella Genesi biblica - dove è un'adolescente timorosa e pensosa, a Inanna e il dio della saggezza, in cui è presentata la giovane fanciulla in fiore, deliziata dalla propria maturità sessuale, ma anche bramosa di usare i suoi poteri. Che sono molti, perché Enki, il dio della saggezza e delle acque, il Grande Sciamano, mago e maestro di rituale e incantamento, le concede ogni cosa: «Darò ad Inanna la verità, la discesa negli inferi, il ritorno dagli inferi, l'arte di amare e il bacio del fallo». Enki le dà tutto: il sommo sacerdozio, la divinità, il trono, lo stendardo, la faretra, il sacro tempio, l'arte del canto, dell'eroe e di amare, ma anche l'arte della prostituzione, la falsità, la cortesia, l'inganno, il potere, il viaggio e la dimora sicura.

È però il terzo testo, Il corteggiamento di Inanna e Dumuzi, il più seducente: la Giovane Signora, incantevole come la pianta del lino nella sua pienezza, vuole uno sposo («chi verrà a letto con me? Chi arerà la mia vulva?»), e lo avrà, dopo un iniziale rifiuto, nel figlio di Enki, il pastore Dumuzi. È la prima storia d'amore del mondo, di duemila anni più antica della Bibbia: il mondo dei sensi - bere, mangiare, agitarsi, danzare, sentire, assaporare, odorare - esplode e trionfa attorno a Inanna e Dumuzi, e annulla con impetuosa dolcezza ogni cosa attorno a loro. È tutto molto delicato, ma anche molto esplicito. Dumuzi dondola il suo torace sacro, ha una spada e un diadema di lapislazzuli, ed è dolce per Inanna: ritocca le sue labbra con ambra, le versa sul grembo latte e panna, accarezza il pelo del suo pube, le sfiora l'ombelico e le cosce delicate, bagna la sua vulva, si prodiga per cinquanta volte, la penetra, le dà piacere, prende il suo piacere, fa sgorgare messi dalla sua vagina, gioca con la lingua, danza e brilla nell'avanzare della notte. Per Inanna, Dumuzi è genitore, figlio, fratello, amante: è tutto, in un'identità totale e a tratti disturbante, almeno ai nostri occhi. Le parole della madre di Inanna, Ningal, però, erano state profetiche: «il giovane uomo sarà tuo padre, il giovanotto sarà tua madre».

Nonostante la seduzione di Dumuzi sia dolce, però, Inanna vuole di più: vuole conoscere l'altro mondo, volgere l'orecchio al Grande Infero. E, prima di Gilgamesh, Persefone, Ulisse, Enea e Dante, scende nell'oltretomba, «una dimora verso un luogo i cui abitanti sono privati della luce, si nutrono di polvere, si cibano di argilla, vestono come uccelli, con ali per abito, e non vedono luce, dimorando nella tenebra», come è scritto nell'Epopea di Gilgamesh accadica. Inanna, «la regina del Cielo», scende nel regno della temibile Regina dell'Oltretomba, «la sorella maggiore» Ereshkigal, che si nutre di creta e si disseta con acqua sporca. Priva di sentimenti, rabbiosa, crudele e disperatamente sola, Ereshkigal, che per certi versi rappresenta la faccia oscura di Inanna, brama solo il sesso: come racconta Nergal ed Ereshkigal, una più tarda storia neo-assira, dove Ereshkigal, dopo essersi concessa a Nergal per sei giorni e sei notti, non ne ha ancora avuto abbastanza. La sua insaziabile carnalità, però, è arida, è vuota, infeconda, e la vendetta ribolle nel suo cuore. La dea vuole vendicarsi della luminosa potenza di Inanna, che discende le sette porte del regno oscuro: ad ogni porta, deve rinunciare a tutti i suoi attribuiti, non è più regina, sacerdotessa, donna, e resta nuda, fino a quando non viene uccisa e appesa ad un palo. Scortata da un drappello di demoni, riesce a ritornare, ma potrà restare solo se troverà qualcuno che prenda il suo posto.

Sarà Dumuzi, dopo un'iniziale ritrosia e un disperato, meraviglioso sogno con giunchi tremanti, aquile e falchi, a prendere il suo posto, per sei mesi all'anno.

Dumuzi, quindi, per metà dell'anno vive la luce, per l'altra metà il buio, e conosce la dea dell'Amore e la dea della Morte. Deve vivere l'oscurità, per poi ritornare alla sua «maestosa, possente, radiosa, divina Inanna».

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