Come festeggiare 60 anni in mezzo ai ragazzi, agli amici e alla gente di casa nel corso d'una fantastica settimana improntata al ritorno alle origini. E' successo a Sonnino, comune di 7.500 abitanti in provincia di Latina, dove Alessandro Altobelli è nato, giusto oggi, nel 1955 e dove è tornato per brindare alla nuova età in modo inusuale. «Mi sono detto che dovevo offrire io qualcosa agli altri, non solo ricevere come si fa in queste ricorrenze. E allora, d'accordo con gli insegnanti, mi sono recato in tutte le classi di Sonnino e dintorni per raccontare la mia vita agli studenti e far capire loro quali sono i valori che contano. Ne avrò abbracciati almeno mille. Ho imparato tanto anch'io».
In questa montagna di appuntamenti, il calcio figura come nostalgia canaglia...
«Al calcio devo tutto. In terza media lavoravo in una macelleria guadagnando 500 lire alla settimana. Il pallone resta al centro della mia vita. Da anni lavoro come commentatore, prima ad Al Jazira, adesso a Tv BeIN. E a pallone giocheremo domani, i miei amici ed io, contro la nazionale dei magistrati. Ci saranno Tacconi, Gentile, Candela, Marcolin, Antognoni, Beccalossi, Greggio...».
A proposito di passato. In carriera un solo scudetto, quasi in antitesi alla montagna di gol segnati con una puntualità disarmante...
«Potevamo vincere di più negli anni di Bersellini, ma sono contento di quello che ho fatto vestendo per 11 anni la maglia dell'Inter, della mia squadra. Capita a pochi questa fortuna. Era una Inter formidabile, tutta italiana, rimasta poi fregata dalla riapertura delle frontiere».
Questione di scelte, di soldi o di entrambe le cose?
«Fraizzoli e Mazzola avevano comprato Platini l'anno prima che si potessero tesserare gli stranieri, poi lo lasciarono andare alla Juventus temendo che non si riprendesse da un infortunio. Al suo posto arrivò Juary. Poi acquistarono Hansi Muller con un ginocchio malconcio. E mentre Boniperti arrivava a Boniek, l'Inter si doveva accontentare di Coeck e di Prohaska che non fece neanche male. Ma non erano campioni».
Nel 1988 lasciò l'Inter, che avrebbe vinto lo scudetto dei record, per andare in una Juventus orfana di Platini e Scirea. Rimpianti?
«Ha detto bene che lasciai l'Inter, di mia volontà, con ancora un anno di contratto, e io guadagnavo tantissimo, senza avere una squadra. E niente buonuscita, aggiungo. Il presidente Pellegrini mi chiese perché. Per colpa di Trapattoni, gli risposi. Il Trap mi aveva messo in disparte senza dirmi niente, non mi faceva giocare e basta. Mi riteneva probabilmente vecchio, ci può stare. Ma si dimostrò senza alcuna sensibilità nei miei confronti. Gliene racconto una...».
Avanti, ci ha incuriosito.
«Stavamo giocando malissimo a Pescara, nel primo tempo non avevamo mai superato la metà campo. E io ad aspettare un pallone. Nell'intervallo Trapattoni mi mise fuori. Dovevo gettare un sasso nello stagno, si giustificò. Ma lo stagno l'aveva creato lui. Quella domenica mi convinsi che non potevo più restare all'Inter. E pensare che Pellegrini, se ricordo bene nell'83, rifiutò di cedermi alla Fiorentina dove Allodi mi voleva a tutti i costi».
Il miglior talento con cui ha giocato?
«Beccalossi, mai nessuno come lui all'Inter. Peccato che avesse un carattere un po' debole e che i dirigenti lo mettessero sempre in difficoltà con acquisti curiosi come quello di Muller».
Il tecnico che stima di più?
«Il numero uno resta Bersellini che mi ha insegnato tanto come giocatore e come uomo. Se devo qualcosa a un tecnico, lo devo a lui. Gli altri mi dovrebbero qualcosa, fui io la loro fortuna».
La gioia più forte e indimenticabile?
«Il Mondiale vinto in Spagna con un mio gol in finale. Bearzot mi convocò dopo avermi visto in forma strepitosa nel finale di campionato. Ma si fidava maggiormente di Graziani che, sfortuna sua, fortuna mia, si fece male a una spalla all'inizio della finale con la Germania. Toccò a me sostituirlo, sapete come».
E' da scudetto l'Inter di Mancini?
«Se migliora come gioco sì. Mancini crea sempre squadre vincenti».
E lei come si ritroverebbe in questa squadra?
«Gli altri si ritroverebbero bene con me».
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