nostro inviato a Ivrea
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Non ci sono più le mezze stagioni e non ci sono più neppure le tappe di trasferimento. Questo Giro sta spazzando via tutti i luoghi comuni, compreso quello che vorrebbe il ciclismo finito: vengano, vengano qui i beccamorti invidiosi, lascino i loro stadi e i loro palazzetti semivuoti, venga pure Grillo con le sue piazze in disarmo, vengano tutti a vedere quali moltitudini riesca ancora a smuovere questo gioco delle biciclette.
Sarà la definitiva esplosione del nostro campione migliore, Vincenzo Nibali, sarà la sofferenza sin qui sopportata nell'era glaciale di questo maggio impazzito, sarà un po' tutto messo assieme, ma è un Giro grandi ascolti. Nelle città come Napoli e come Cosenza, nei borghi e nei villaggi delle vallate più remote, si viaggia immancabilmente solcando un colorato mare di gente. Persino quando diluvia e infuria la bufera, sempre e ovunque. E' un Giro grandi ascolti anche in tv, persino in tv, nonostante chi lo racconta, con l'arrivo del Galibier al 28 per cento di share, 4 milioni di telespettatori su Raitrè, più un altro milione su Raisport1 e via Internet, che alla fine fanno 5 milioni. Al giorno d'oggi, sono numeri.
Certo bisogna fare un monumento a Nibali. Ma anche a tutti gli altri. Cercando il pelo nell'uovo, la nostra maglia rosa è mutilata di un fattore molto importante, il grande battuto. Il ritiro di Wiggins gli porta via il contraltare perfetto, il Golia iperfavorito che lui, Davide di Messina, riesce tutti i giorni a piegare. Non è una storia d'oggi: da sempre, nello sport, ma soprattutto nel ciclismo, un grande vincitore è ancora più grande se ha pure un grande battuto. Coppi non sarebbe Coppi senza Bartali. Merckx non sarebbe Merckx senza Gimondi. Così per Nibali: si fosse ritrovato Wiggins fino alla fine, il suo Giro - se lo vincerà, e tocchiamo ferro - sarebbe diventato il Giro perfetto. Così, gli mancherà nella foto storica del podio la spalla ideale, come se Totò si ritrovasse improvvisamente senza Peppino. Però attenzione: di certo non sarà comunque un Giro menomato, questo assolutamente no, perché Nibali aveva già battuto Wiggins a partire dalle prime tappe, umiliandolo in discesa, stoppandolo nella sua cronometro, staccandolo sul Montasio, la salita più vera affrontata sinora. Tecnicamente Nibali ha una maglia rosa completa e ineccepibile, senza se e senza ma. Questo è fuori discussione. Anche perché la onora e la sbandiera tutti i giorni senza risparmio di energie. Persino nella tappa di Ivrea, vinta dallo spagnolo Intxausti in onore dell'amico Tondo (domani, due anni fa, moriva sotto i suoi occhi, schiacciato da un cancello), persino in una tappa teoricamente di trasferimento Nibali accende lo spettacolo gettandosi nella mischia dell'ultima discesa, duellando con Scarponi e con Evans, in concorso per far fuori dalla classifica il malcapitato Santambrogio, messo in mezzo già sulla salita. «Non ho attaccato - spiega sopreso Vincenzo a chi chiede i motivi di tanta furia - ho solo controllato. Il terreno per gli attacchi seri deve arrivare».
Nibali viaggia felice e leggero, ma si porta dietro un tarlo. Un solo tarlo. La vittoria di tappa, la vittoria trionfale su un grande traguardo, la vittoria che trasformi la sua maglia rosa in un capo griffato. Ha tre bersagli nel mirino: la cronoscalata di domani, poi i due tapponi alpini (sempre che la neve incombente non li riduca a tappini).
Parere personale: da come lo si vede, da come vola, potrebbe pure fare tris.P.S.: a furore di popolo, nuova dispensa quotidiana del corso pratico d'inglese per seguire meglio il Giro sui moderni canali Rai. Lesson five: «DinosAur». Traduzione: «DinosAuro».
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