Addio Juliano anema e core di Napoli: portò Maradona

Com'è triste il Natale di Napoli. Nel presepe di Chiaia è come se mancasse una delle statuine più importanti

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Com'è triste il Natale di Napoli. Nel presepe di Chiaia è come se mancasse una delle statuine più importanti. Perché oggi la città saluta per l'ultima volta Totonno, lo scugnizzo di San Giovanni a Teduccio, cresciuto sulle rive del mare e diventato re a Fuorigrotta. Dici Totonno e a Napoli sanno che vuoi dire Antonio Juliano, che si è arreso a una malattia canaglia a 80 anni. E Napoli è triste perché nessuno come Juliano ha saputo incarnare lo spirito e l'arte della sua squadra, di cui è stato anema e core. Totonno era, e sarà sempre, il Napoli più di chiunque altro, non solo per le 505 partite giocate in 17 anni, 12 da capitano. Perché dopo aver chiuso col calcio giocato (in esilio a Bologna), Juliano è stato l'anima della società anche da dirigente, braccio destro di Ferlaino, con cui mise a segno il colpo Maradona, prima di entrare in rotta di collisione, perché Totonno non aveva peli sulla lingua, nemmeno da giovane, quando era uno dei pochi che poteva tener testa al comandante Lauro.

Ma forse l'acquisto che Totonno sentiva più suo era Ruud Krol, elegante difensore dell'Ajax di Cruijff finito nel campionato canadese e che Juliano convinse a rimettersi in gioco, diventando una colonna azzurra per quattro stagioni in cui il Napoli lottò per lo scudetto.

Scudetto che Juliano sfiorò anche da calciatore con Vinicio allenatore nel '75, un Napoli in cui Totonno era l'uomo che polarizzava il gioco. La grande vittoria la trovò però con l'Italia campione d'Europa nel '68, anche se il suo rapporto con la Nazionale è sempre stato un po' a singhiozzo.

Tanto per dire: in tre mondiali ha giocato solo 16 minuti, anche se prestigiosi, nella finale del '70 con il Brasile. Ma era un'Italia in cui doveva trovare spazio tra Mazzola e Rivera, Bulgarelli e De Sisti. E in fondo Totonno aveva un altro azzurro con cui consolarsi.

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