Agli auguri di Natale non ci aveva risposto. Strano per uno come Aldo. Poi quel brutto presentimento, «Forse sta male». Purtroppo sì: Agroppi stava male, da qualche giorno era ricoverato per una polmonite bilaterale in ospedale a Piombino, la «sua» Piombino dove era nato il 14 aprile 1944 e dove ha vissuto fino all'ultimo, amato da chi lo conosceva nel profondo e non si fermava alla superficie (a volte ruvida) del personaggio. Per lui - ex calciatore dalle caratteristiche moderne allenatore controcorrente (dove la corrente era, ed è, l'opportunismo) - gli aggettivi che oggi leggeremo nei «coccodrilli» saranno «ironico» e «fumantino»; che però sono solo due pennellate su un ritratto umano e professionale ricco di colori quanto la tavolozza di Mario Schifano. Un «artista combattente che mi piace», raccontò nella sua ultima intervista al Giornale quando - senza remore - confidò il terrore verso quel suo unico nemico: la depressione, «una bastarda che non mi dà tregua». Aldo, che di avversari ne aveva affrontati a migliaia senza mai paura, temeva solo la marcatura stretta del «male oscuro»: «Lui ti toglie il respiro e ti fa desiderare la morte». Già, la morte: un pensiero fisso nella vita dell'ex bandiera di Toro e Fiorentina, club che amava (ricambiato) al pari degli affetti più cari.
Da calciatore aveva debuttato nelle giovanili della squadra della propria città, per poi indossare anche le maglie di Torino, Genoa, Ternana, Potenza e Perugia. Solo cinque presenze in Nazionale («Il mio grande rammarico»). Poi la lunga carriera da allenatore, chiusa nella Fiorentina nel 1993 per poi lasciare spazio a una spumeggianti stagioni nel riolo di opinionista televisivo. Ma è indossando i colori granata che Agroppi divenne una bandiera dal cuore Toro: otto stagioni, 212 presenze e 15 gol con due Coppe Italia vinte nel 1967-68 e 1970-71. Poi il passaggio alla panchina, e la seconda vita calcistica da allenatore: inizia col Pescara in Serie B nel 1980-81, la stagione dopo guida il Pisa alla promozione in A. Una breve parentesi al Padova, dal quale si dimette perché i graffi della depressione cominciano a ghermirgli l'anima. Superata la crisi, il rientro nel grande giro. Sfiora la serie A alla guida del Perugia. Poi la grande chiamata della Fiorentina che però è segnata da un forte contrasto con gli ultrà viola.
Epici scontri. Ma altrettante riappacificazioni. Come accadde con Daniel Passarella che ha ammesso: «L'ho odiato, ma ho imparato più da Aldo ciò che nessuno è stato in grado di insegnarmi». A chi lo accusava di essere un «tipo scomodo», Agroppi replicava sornione: «Ho battagliato a lungo, Se scomodo significa non accondiscendere al potere e dire la verità, sono orgoglioso di essere stato scomodo». Senza mai guardare in faccia a nessuno, anche se erano le facce di campioni come Antognoni o Baggio: «Gli ho voluto un bene dell'anima. Sono sicuro che l'affetto sia reciproco».
E poi: «Nell'aldilà sogno di incontrare Emiliano Mondonico e Gigi Meroni». Il ricordo: «Torino-Samp, 15 ottobre 1967, vincemmo 4 a 2: io esordivo con un gol, toccando il cielo con un dito. Gigi la sera stessa moriva investito da un'auto, toccando il cielo per sempre. E in quel cielo ci ritroveremo presto». Oggi Aldo, Meroni e il «Mondo» ne avranno di cose da raccontarsi.
Magari ridendo insieme per la decisione assurda di Figc e Lega Serie A di annullare, per paura dei fischi, il minuto di silenzio «pro Agroppi» nella semifinale di Supercoppa in Arabia Saudita. Aveva ragione Aldo: «Il calcio di oggi? Mi fa schifo».
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