Un anno e mezzo fa aveva detto addio alle panchine, «tranne quella del parco in cui andrò con i miei nipoti». Un secondo posto con la Nazionale agli Europei e un bronzo in Confederations Cup. Cesare Prandelli, questa volta, non ha potuto dire di no alla Nazionale No Profit, di cui è divenuto ct. Sabato, a Milano, riceverà dal presidente nazionale del Csi, Massimo Achini, una targa, durante l'evento per gli 80 anni del Centro sportivo italiano.
Mister, l'altra Nazionale è ripartita dai tifosi di spalle al nostro inno...
«Anche a noi capitò che fischiassero inni avversari, ma ci si alzava per applaudire. Eravamo sempre disposti a difendere Balotelli che era il più bersagliato».
Sul campo, due risultati positivi cancellano il flop europeo?
«Ci sono sempre rimpianti quando non riesci a essere competitivo. In queste ultime due gare ho visto la personalità per reggere le pressioni. Ma Federazione e Lega devono mettere sul piatto la gestione del problema calcio, devono essere due genitori, evitando di litigare: serve sinergia e indirizzo».
Quale?
«Quello tecnico per i settori giovanili. Negli anni si è sposato più un sistema di gioco che la valorizzazione dei talenti: abbiamo ottimi centrocampisti, ma perso in tecnica e fantasia, che avvicinano i tifosi allo stadio. La tattica nei vivai ha rovinato l'improvvisazione, il calcio non è il gioco degli scacchi».
Molti dicono che si è perso il calcio d'oratorio, ma gli oratori spesso sono chiusi...
«Una volta era il contrario: un sacerdote mi ha detto che è un problema assicurativo, che gli spazi sono aperti solo per attività organizzate. Per i genitori, tutto deve essere sotto controllo».
Nel calcio di vertice, sotto controllo devono essere anche i costi: Commisso ha criticato quelli delle big...
«Lo dice da quando è arrivato in Italia. Ci vuole la forza di rivedere certe cose: io non ho paura del futuro, temo solo di perdere i nostri valori».
Una proprietà su due, in A, è in mano straniera o dei fondi. Ci vede rischi?
«Non sono fondi, sono fondi di investimento. Che a fine anno devono guadagnare. Ricordo la famiglia Bortolotti (all'Atalanta, ndr): investiva e ci perdeva, ma lo faceva per la comunità. Oggi sono concetti persi e certi nuovi proprietari è come se volessero azzerare la storia. Che senso ha lasciare a casa Maldini, che ha fatto la storia del Milan?».
Si dirà che il calcio è cambiato. Lo dice anche il numero di partite: troppe, secondo lei?
«No. Anche la scienza e la prevenzione hanno fatto passi in avanti e una rosa di 28 giocatori ti permette di gestire. Si era preoccupati anche quando introdussero anticipo e posticipo. Oggi si gioca tutti i giorni».
A proposito di Milan, sul cooling break di Leao e Theo che idea si è fatto?
«Immagine brutta per giocatori e dirigenza. I compagni avrebbero potuto intervenire, l'allenatore forse neanche se n'era accorto».
Per la Juve più merito o coraggio nell'investire su giovani e Motta?
«Da 30 anni forse non vedevo una grande cambiare così tanto. Se l'hanno fatto, è forse perché avevano obiettivi irraggiungibili. Quindi non era colpa di Allegri. Motta ha personalità e sa valorizzare i giocatori che ha».
Dell'Inter si dice dei singoli, meno di Inzaghi.
«Inzaghi non vuole diventare personaggio e spero non lo diventi. L'Inter ha vinto per un gioco incredibile e Inzaghi ha fatto variazioni che pochi credo abbiano capito».
In Europa, però, il gap delle
nostre è ancora troppo ampio?«Le nostre prime squadre sono attrezzate e l'Inter potrebbe essere protagonista, come lo stesso Milan. L'Atalanta ha vinto anche lo scorso anno. E la vedo bene anche per lo scudetto».
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