Più che una vita, questo di Milano è un gran bel derby da mediano. Lo stanno giocando, sui due fronti opposti, Nicolò Barella e Sandro Tonali, uno cagliaritano e interista oggi, l'altro lombardo e rossonero per lungo tempo, sodali in Nazionale fino a ieri ma solo per pochi minuti e per questo motivo ulteriore di rimorso collettivo in vista del mondiale mancato dall'Italia di Mancini, ora da vedere e seguire soltanto in tv tra un mese giusto. Barella ha smesso di recitare cicchetti in pubblico ai suoi, di lamentarsi per un banale passaggio sbagliato e si è messo a pedalare come un anno prima e prima ancora, ai tempi di Antonio Conte che ne fece un autentico mediano di corsa e di governo.
È una delle conseguenze, virtuose, di quel regolamento interno arrivato nei giorni in cui tifosi e media pensavano di spedire sul patibolo Simone Inzaghi. Per fortuna dell'Inter, grazie ai suoi ispirati dirigenti, nessun contatto esterno venne mai effettuato, e appena l'Inter si è rimessa in linea di galleggiamento con la famosa dieta post Roma (10 punti in 4 sfide tra Champions e campionato), ecco spuntare il retroscena raccontato da Bastoni capace di ristabilire le responsabilità più autentiche (del gruppo) e il cambio di rotta. E se al Camp Nou Nicolò spuntò all'improvviso alle spalle dell'irriconoscibile Piquè, a San Siro contro la Salernitana ha lo stesso radar nel raccogliere l'arcobaleno disegnato da Calhanoglu. Uno scudetto con Conte e l'europeo magico raggiunto con Mancini in azzurro sono le sue medaglie che il rossonero vorrebbe un giorno non lontano pareggiare.
Sandro Tonali da Lodi, milanista nel midollo, capitano in pectore del gruppo, e voce narrante del recente scudetto, è il rivale di Barella che interpreta la vita da mediano quasi come una forma di missione umanitaria. La spiega ai ragazzi delle parrocchie, la racconta ai media, la ripete dentro il recinto di Milanello quando s'accorge che è l'occasione giusta. Così tutte le volte che il cielo sopra una partita del Milan minaccia tempesta, lui esce fuori dalla trincea mediana e si avventura in scatti prodigiosi dettati dall'istinto calcistico e dalle traiettorie geometriche disegnate col compasso da Leao o Rebic. Repetita iuvant direbbero i latini. Perché accadde anche l'8 maggio scorso col Verona di Tudor davanti nel risultato e poi ribaltato tra un tempo e l'altro con quell'uno-due che diede linfa vitale alla rincorsa tricolore.
Le affinità elettive tra i due si rincorrono nei resoconti di chi li frequenta e li conosce e servono anche a provocare l'inevitabile dibattito un po' retrò tra opposte tifoserie su chi dei due è più tutto, più tifoso dei suoi colori, più bravo a calcio, più decisivo, più umile, più divertente (i siparietti tra Barella e Brozovic finiti sui social restano unici), più leader insomma a
dispetto della etichetta del mediano di una volta, Oriali campione del mondo nell'82 in Spagna docet, che smise d'essere semplice operaio del pallone, magari identificandosi in Furino e divenne un inno alla vita e alla passione.
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