Tempo. Quello che chiedono tutti gli allenatori, di qualunque sport e a maggior ragione quelli delle squadre di calcio. Tempo: per conoscere l'ambiente, per impostare un progetto, per lavorare e poter raccogliere i frutti di quanto proposto. Difficilmente però vengono accontentati: proprietà, dirigenti e tifosi vogliono tutto e subito, risultati e bel gioco, entusiasmo e leggerezza, tanti gol fatti e pochi subiti.
La Juventus non fa eccezione, per quanto storicamente agli allenatori sia stato quasi sempre dato modo di poter lavorare in serenità. Va poi da sé che la panchina bianconera pesi' più di altre, visto il carico di gloria che si porta dietro: Thiago Motta lo sapeva e lo sa bene, né pare il tipo che si lasci scalfire più di tanto da critiche e mugugni vari. Si fida ciecamente del proprio lavoro e lo ha ribadito anche nelle scorse settimane, quando la classifica si allungava lasciando la Signora un po' staccata.
«I conti si fanno alla fine», ha ribadito prima della (poco esaltante) vittoria di Monza, la numero 1700 in serie A dei bianconeri, cifra raggiunta nei vari campionati europei solo da Real Madrid, Barcellona e Arsenal: non era una minaccia, ma consapevolezza ostentata. Sapendo di essere partito da zero, perché il suo modo di giocare è del tutto diverso da quello proposto per anni da Allegri: serve tempo, appunto, per vederlo applicato come si deve. Non a caso, la sua miglior stagione a Bologna è stata la seconda. Ecco, il Bologna: dove Italiano viaggia a mille, forse sfruttando anche l'onda lunga ereditata dall'attuale tecnico bianconero.
Dandogli ovviamente i giusti meriti per avere fatto crescere i vari Castro, Ndoye e compagnia, proponendo un calcio aggressivo e alto', senza aspettare troppo ma provando sempre a fare la partita. Applausi a lui e, forse, alla Juve che verrà.
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