Sembra il copia-incolla del pronostico: Parigi-Roubaix, primo Fabian Cancellara. È il suo terzo trionfo. Ed è la sua seconda doppietta scolpita nella pietra, due vittorie sul mito del pavee nel giro di sette giorni, prima il Fiandre e poi la Roubaix, proprio come nel 2010.
Tutto così scontato, tutto così prevedibile. Ma sarebbe sbagliato dire tutto così facile: rispetto al solito show, questa volta il successo non si rivela per niente facile. Più delle pietre, più degli avversari, Cancellara deve battere i lividi delle due cadute durante la settimana, che inesorabilmente nella corsa della fatica e del dolore presentano il conto. Il capolavoro è tutto qui: abituato a stracciare la concorrenza giocando all'attacco, Cancellara usa più la testa delle gambe e spende con estrema parsimonia le forze rimaste, giocando di rimessa nelle lunghe fasi di avvicinamento, rincorrendo soltanto se necessario, sfruttando il più possibile il lavoro altrui.
Non a caso, il suo arrivo non è solitario, come domenica scorsa nelle Fiandre. Per l'occasione, deve rassegnarsi a subire fino allo sprint il più tenace dei rivali, il giovane belga Vanmarcke, cognome che sembra tradire parentele fiamminghe con Vanna Marchi, 24 anni, al suo terzo tentativo, l'anno scorso 84esimo e terzultimo. Batterlo nel mitico velodromo non è operazione semplice, ma l'operazione riesce. Il primo dopocorsa tradisce però tutto il tormento: mai s'era visto un Cancellara stramazzare a terra, faticando a riprendere fiato, quindi addirittura farsi portare a braccia da due badanti. Ma proprio in questa sofferenza estrema, forse, sta scritta la soddisfazione più grande della luminosa carriera. Come dice lui stesso, «Ballerini mi ha insegnato che con queste pietre devi trovare un feeling particolare, devi metterci passione: o ci sei nato o non ci sei nato, o sei gladiatore o non sei gladiatore
».
Lui, svizzero con radici lucane, rampollo di emigranti, gladiatore lo è da sempre. Il soprannome di battaglia è Spartacus. Mascella squadrata e fisico da granatiere confermano le attitudini. Nella sua carrierona sul filo dei cinquanta all'ora ha già infilato ogni possibile cronometro, mondiale e olimpica compresa, più le classiche della sofferenza e della forza bruta. Eppure, alla fulgida collezione si aggiunge una vittoria molto più ragionata che prepotente. Due soli allunghi, i necessari: a 23 chilometri dal termine per riprendere due fuggitivi, quindi a meno 15 per scrollarsi di dosso la fastidiosa concorrenza. Un altro Cancellara, il solito Cancellara, resterebbe da solo, ma questo superstite dei due dolorosi sinistri settimanali comprende lucidamente che non è il caso di strafare, che non ci sono le energie per effetti speciali, così si mette tranquillo e accetta la variante allo sprint. Vittoria anomala e sofferta. Pietra preziosa.
Quanto a noi italiani, ci piacerebbe ancora una volta riavvolgere il nastro della storia e far sì che i genitori di Cancellara non partissero mai dalla Lucania per cercare fortuna. Ma non è detto che cambiando copione il finale sarebbe lo stesso: magari Fabian non esisterebbe neppure, magari Fabian sarebbe un avvocato, magari Fabian spaccherebbe le pietre, non in bicicletta. Conviene rassegnarsi: Cancellara è un campione svizzero, a noi restano solo patetici rimpianti. Ormai è il nostro destino di Paese in declino: oltre ai cervelli in fuga, abbiamo anche i muscoli in fuga. E che fughe.
Nella cruda realtà, stringiamo di un altro buco la nostra cintura: il digiuno nelle classiche monumento (Sanremo, Fiandre, Roubaix, Liegi e Lombardia) perdura dall'immemorabile 2008, quando Cunego chiuse la stagione vincendo proprio il Lombardia.
In quest'ultimo caso, possiamo solo registrare il 21esimo posto di Paolini, migliore azzurro all'arrivo, fantozziano quanto mai (forature nei momenti più caldi). Un passo indietro Pozzato, 22esimo: come al solito attesissimo, come al solito disperso nella polvere.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.