Che cosa c'è dietro il luogo comune dei giovani che rischiano e i vecchi no

Ci illudiamo che sia la magia del talento e dell'unicità dell'uomo: sono invece dei semplici processi chimici e biologici

Che cosa c'è dietro il luogo comune dei giovani che rischiano e i vecchi no
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Siamo avvezzi a dare per scontato che un pilota di quarant'anni sia meno spericolato di uno di venti, meno esplosivo, meno controllato e aggressivo, meno votato al rischio, insomma capito: lo diamo per scontato anche se, a ben pensarci, dovrebbe essere il contrario, perché un giovane ha più vita davanti a sé. Troviamo perfettamente naturale, pure, che gli sport estremi siano ritenuti una dimensione da tardo-adolescenti, da scapestrati incoscienti, insomma capito: e però non sapremmo spiegarlo, o non bene, a meno di ricorrere a motti degni di nostro nonno o, al massimo, di un grande vecchio come Enzo Ferrari: «Un pilota perde un secondo a giro a ogni figlio che gli nasce». Oggi forse parlerebbe di decimi o centesimi, resta che una vera spiegazione non sappiamo darcela, perciò scivoliamo sopra dati di fatto mischiati a luoghi comuni: tipo che vabbe', sappiamo, i giovani piloti devono farsi notare, chi è prudente resta indietro, devono guadagnarsi un contratto, un posto fisso, una squadra top, è proprio il competere con gli esperti che li spinge a compensare con le manovre al limite.

Può bastare? No, perché non spiega la loro minor consapevolezza del reale, del pericolo, perché pensano «non succederà a me» anche se, spesso, succede proprio a loro; non spiega questa loro fede nei loro mezzi e nei sistemi di sicurezza, questa loro percezione di invincibilità, non spiega perché persino i Rossi, Hamilton, Verstappen e Marquez fossero ritenuti dei pazzi dopodiché persino loro, a una certa età, chi più e chi meno, hanno imparato a gestire il rischio, a farsi più calcolatori, talvolta a vincere senza rischiare a ogni curva, talvolta senza perdere velocità, talvolta perdendola. Insomma, la spiegazione vera, quella chimica e biologica, è quella che ci piace meno di tutte: non piace sentir dire che la corteccia prefrontale (la parte sinistra del cervello) a vent'anni è ancora in via di maturazione e si ha, quindi, meno autocontrollo e una più imprecisa valutazione del rischio, dunque che prevale il sistema limbico (la parte destra del cervello, quella più antica) e quindi le emozioni, l'impulsività, le risposte forti e le reazioni istintive. Non piace sentir parlare dei picchi giovanili di testosterone e di dopamina (ormone e neurotrasmettitore che spingono a competere, all'azzardo, al limite) come banale spiegazione del perché un adolescente si lancia col paracadute e un cinquantenne no.

Non piace sentir parlare di ipofisi e di ormoni che mascherano la paura, di banali meccanismi fisiologici, di uomini ridotti a cartelle cliniche o ridotti a qualcosa che possiamo trovare in un libro: ci piace la magia che rende ogni uomo unico, che non ce n'è uno uguale a un altro.

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