Ciolek gela Sagan nella Sanremo dimezzata dalla neve

Bufera sul Turchino, corsa fermata: si riparte da Cogoleto. Volata finale a sei, spunta il tedesco

Ciolek gela Sagan nella Sanremo dimezzata dalla neve

dal nostro inviato a Sanremo

Faticherebbero a riconoscerli anche le loro mogli. Sfilano letteralmente sfigurati quando ormai è l'imbrunire, eroici superstiti di una stramba era glaciale. L'ultimo, un certo Vladimir Isaychev, che come russo dovrebbe esserci pure abituato, si presenta alle 18,16 come uno spettro, illuminato dai fari della polizia, sotto il bagliore malinconico dei lampioni accesi.

Soltanto per comodità lessicale continuerò a chiamare questa cosa Milano-Sanremo. Ma a dirla tutta come va detta, è la più surreale corsa ciclistica che la storia moderna passi agli almanacchi. E' una specie di mostro della natura che prende lentamente corpo di mattina presto, con il primo cielo cupo sopra Milano, e che poi lentamente si trasforma nella tempesta perfetta (di neve) salendo verso il Turchino. I corridori battono subito i denti per il gelo, quindi passano direttamente ad alto rischio ipotermia. Questo primo tormento dura due ore e mezza, fino a quando il gruppo surgelato, perfetto testimonial Findus, arriva ad Ovada. Qui, grazie al cielo, trova però un'organizzazione impietosita e preoccupata: le notizie dal valico appenninico sono disastrose, la neve è di un inverno profondo, noi stessi delle macchine fatichiamo ad avanzare.

Decisione tempestiva e doverosa: si ferma tutto. C'è un limite anche all'epica del ciclismo d'altri tempi. Per la prima volta, la regina della corse in linea diventa una corsa a tappe. La semitappa del mattino si conclude proprio ad Ovada dopo 118 chilometri, con sei attaccanti avvantaggiati di 7'. Per la seconda ci si trasferisce tutti a Cogoleto: appuntamento alle 15, tra polemiche, imprecazioni, un certo caos (c'è pure chi non vorrebbe ripartire).

I ciclisti stoccafissi salgono sui pullman e provano a farsi scongelare dai massaggiatori. L'organizzazione intanto calcola pericoli e tempi tecnici: alla fine, si decide di concedere una nuova cambiale di pietà umana al gruppo, tagliando anche la salita delle Manie. Misurando con la bindella, la seconda semitappa fino a Sanremo diventa di 126 chilometri e rotti, per un totale giornaliero di 245, contro i 298 della tradizione. In poche parole, un casinò epocale.

Però attenzione: per quanto stravagante, manomessa e mutilata, la corsa resta comunque seria e feroce. Che i tagli non la trasformino in un ballo in maschera è dimostrato dall'ecatombe di ritiri e di crolli spaventosi. Il nostro numero uno, Vincenzo Nibali, che pure non è una signorina, ad un certo punto accosta e si arrende, «schiantato dal freddo», secondo la sua stessa confessione. Tanti altri, più o meno, fanno la stessa fine. Dal tepore delle nostre auto, con imbarazzanti sensi di colpa, vediamo facce deformate, maschere scavate, connotati stravolti.

Eppure qualcuno ce la fa. Eppure qualcuno arriva fino in fondo. Eppure qualcuno si rivela più forte anche dell'inferno. In tutto, compreso il nottambulo russo Isaychev, sono 135. Tra questi, sei fenomeni si giocano la volata finale: il ragazzo prodigio Sagan, superfavorito, paga il suo complesso di superiorità sbattendo via energie preziose in un gioco di sfide e ripicche con Cancellara. Ad approfittarne è il tedesco Ciolek, un incredibile Hulk capace di inventarsi una rimonta di inaudita violenza. Nel duello tra titani, bravissimo il nostro Paolini, quinto.

Risvolto suggestivo e curioso della storica giornata: è storica anche la vittoria. A trionfare è una squadra che neppure dovrebbe esserci, presente solo su gentile invito, nuova frontiera a pieno titolo di un ciclismo carico di futuro, il ciclismo sudafricano a sfondo sociale, come racconta dettagliatamente Stagi nel suo articolo di approfondimento. In un certo senso è la vittoria giusta nel giorno giusto, segnato dalle decisioni a sfondo umanitario.

Questa Sanremo equa e solidale promuove la diffusione della bicicletta tra i bambini africani, ma si incarica anche di tutelare i ciclisti grandi e vaccinati, improvvisamente a serio rischio estinzione, causa glaciazione. A modo suo, è un'edizione memorabile. E la chiamano classica dei fiori.

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