Gasp, Max e le discriminazioni del politicamente corretto

La questione è delicata, soprattutto in tempi in cui le parole viaggiano troppo in fretta

Gasp, Max e le discriminazioni del politicamente corretto

La questione è delicata, soprattutto in tempi in cui le parole viaggiano troppo in fretta. Lo «zingaro» con cui alcuni tifosi bergamaschi hanno insultato Vlahovic (pure ammonito per averli zittiti dopo il gol), è il solito caso di immensa stupidità umana e apre dibattito. Per questo Gian Piero Gasperini è finito per diventare, lui, razzista, per aver espresso la sua idea, letta solo in sintesi: «Il razzismo non va confuso con gli insulti». Detto così, la reazione globale è stata sdegnata, perché giustamente il fenomeno va condannato senza indugi e il codice comune vuole l'unanimità di sdegno. In realtà però il concetto del tecnico bergamasco era più ampio: «Non fatemi passare per quello che non sono: il razzismo è una cosa seria. L'insulto a Vlahovic è stata grave maleducazione, che io condanno. Come condanno i figli di... e i pezzi di m... Ma non era un insulto a una razza, visto che noi abbiamo per esempio Pasalic, abbiamo avuto Ilicic, e con le persone di Bergamo non ci sono mai stati problemi. Io sarò sempre e comunque contro i razzisti. Ma non si può fare di tutta un'erba un fascio e far passare tutti per delinquenti». È un'idea, sulla quale si può non essere d'accordo (e con Gasp spesso capita), ma che andrebbe discussa e non condannata a priori.

Perfino Allegri, il tecnico di Vlahovic, ha detto che «è inutile fermare le partite: in questi casi si dovrebbe tirare dritto, poi chi deve punire giustamente punisca». In tanti anni di sdegno e di «respect» purtroppo i risultati sono modesti, e quindi forse il politically correct non funziona più, almeno secondo il calcio. Serve altro? Parliamone. Ma sul serio.

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