"Digiuni, infortuni e sensi di colpa: la mia vita da farfalla della ritmica"

Ginevra Parrini oggi ha 23 anni: era entrata in Nazionale all’età di 14, ma la gioia è stata presto rimpiazzata dallo sconforto. "Iniziarono subito a inculcarci il dogma della dieta"

Ginevra Parrini durante un'esibizione
Ginevra Parrini durante un'esibizione

Regole d’acciaio per plasmare corpi inscalfibili, impermeabili ai sentimenti. Così quei sorrisi acerbi sfumano in fretta in espressioni rigide. Il risultato va raggiunto ad ogni costo e pazienza se l’anima friabile di una ragazzina minorenne ne esce contusa. Certo, inizi presto a maneggiare la disciplina e ti tornerà utile per il resto dei tuoi anni. Magari sollevi anche qualche trofeo. Ma il prezzo da pagare è, troppo spesso, un urlo nero conficcato dentro per la vita.

Ginevra Parrini aveva soltanto cinque anni quando ha cominciato con la ginnastica ritmica: oggi che ne ha ventitre anche lei si fa coraggio e scava dentro un periodo che ha lasciato lividi. In nazionale, nel team di quelle farfalle che sono salite alla ribalta delle cronache, ci è arrivata quando ne aveva quattordici. Da lì in poi la trama comincia ad assumere tinte in controluce, fino a diventare tetra.

Da piccola mi piacevano tutti gli sport. In particolare - racconta - mi disimpegnavo con la pallavolo, con la danza e la ginnastica ritmica, decisamente la mia preferita. Mi attiravano i body scintillanti, l’eleganza dei movimenti, la femminilità che scaturiva da ogni gesto. Se ne accorsero anche le mie prime allenatrici, che infatti dissero ai miei di puntare tutto in questa direzione. Anche perché avevo il fisico e il talento giusti”.

Quindi è deciso. Ginevra intraprende un percorso che all’inizio è lastricato di gioia e soddisfazioni abbondanti. Cresce in fretta e trangugia le tappe mescolando divertimento e determinazione. La nota una società più grande e lascia la tiepida zona di comfort locale. A quattordici anni approda nelle Farfalle, prima da individualista, poi in gruppo. Partecipa ai campionati europei, ai Mondiali e a diverse competizioni internazionali. Qualcosa però inizia ad incrinarsi.

Iniziarono da subito a inculcarci il dogma della dieta, perché era fondamentale che il concetto ci arrivasse prima che diventassimo più grandi. Salivo sulla bilancia ogni giorno e mi ripetevano che dovevo dimagrire, che ero troppo grassa, che non avrei mai disputato le gare importanti in quelle condizioni. Ci ispezionavano le camere per vedere se nascondevamo del cibo e se lo trovavano venivamo punite con allenamenti ancora più stremanti”.

In realtà Ginevra è una ragazzina magra, dalla figura possente ma affilata. Però non basta. “Al mio ingresso in Nazionale ho capito subito che la situazione era pesante. Quelle che prima erano semplici richieste si sono accentuate, fino a diventare pressanti avvertimenti. Iniziarono a dirmi che se non dimagrivo, se mi ostinavo a mangiare ed anche a bere, non avevo rispetto per la mia famiglia e per il Paese che rappresentavo. Che ero un’ingrata. Questo concetto ce lo ribadivano spesso, a tutte. Il divertimento con gli amici era proibito. Dovevi soltanto allenarti, per 9 lunghissime ore al giorno: era la mia passione e lo facevo, ma qualcosa cominciava a pesarmi. Ricordo che prima degli Europei la nostra cena consisteva in una mela. Facevamo di tutto per rientrare nei canoni imposti: il senso di colpa è una manipolazione psicologica potente su una ragazzina”.

Qui iniziano gli scompensi. Il corpo di Ginevra, come quello di molte sue giovani colleghe, fluttua costantemente di peso. Le ricadute in termini di salute fisica e mentale sono un macigno che preme ancora oggi. “Ad un certo punto iniziarono a pesarci anche quattro volte al giorno. Io restavo a digiuno per lunghi periodi, perdevo anche 10 kg di fila e poi riprendevo peso in pochissimo tempo. Il corpo, destabilizzato, non rispondeva più a dovere. Il ciclo si interrompeva. Gli svenimenti si moltiplicavano”.

Traumi che si traducono in lunghe sedute dallo psicologo, ma non esiste cerusico dei sentimenti che tenga, quando sanguini da dentro. “D’un tratto cominciai ad avere terrore di mettere piede in palestra. Mi avevano influenzato a tal punto che non volevo più mangiare nemmeno a casa: pensavo di essere irriconoscente verso tutti, se addentavo qualcosa. Questi problemi alimentari me li porto dietro ancora oggi, insieme a quelli fisici. Ho cinque protusioni discali, ma loro al tempo facevano spallucce. Un giorno caddi sulla schiena durante un esercizio e non riuscivo più a rialzarmi. Mi sollevarono di peso dicendomi di camminare. Dovevo andare al pronto soccorso, ma negavano il problema. Mi feci le lastre e gliele stampai davanti, ma mi dissero che parlavo a sproposito, che tutte le atlete professioniste c’erano passate. In squadra c’era anche un fisioterapista, ma era interdetto alle ragazze più giovani: visitava solo le più mature”.

L’accusa, è chiaro, non è rivolta alla disciplina in sé, ma all’interpretazione che ne viene data. “Le mie società di origine mi hanno dato tanto e le ringrazierò sempre: con loro ho appreso una disciplina e una determinazione fuori dal senso comune. Impari il sacrificio, ti misuri con sfide enormi. Tutte cose che nella vita ti torneranno utili. Per questo consiglierei la ginnastica ritmica a chiunque: il problema è nato in nazionale, penso che sia lì che l'approccio debba mutare radicalmente. Nella migliore delle ipotesi hai davanti vent’anni di carriera: non puoi barattarli con una vita di privazioni e traumi destinati ad accompagnarti per sempre”.

Oggi Ginevra si sta gradualmente riprendendo. Ha lasciato quel mondo anni fa: dopo quella brutta caduta ha tentato di tornare, ma il dolore era un passeggero che scuoteva inevitabilmente il capo.

Adesso lavora nel segmento del Wellness, ha al suo attivo una partecipazione a Miss Italia ed anche ad un programma tv. Le cose ripartono. Magari le farfalle restano impigliate nei retini della vita, ma l'anima non l'addomestichi.

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