Scorticato come un kebab, comunque invincibile. O lo abbattono di sana pianta, come s'è inventato ilbuon Ferrari a Herning, oppure Mark Cavendish vince sicuro. È campione del mondo, ma soprattutto è lo sprinter più forte del momento, avviandosi a diventarlo anche di tutti i tempi. Ormai si può dire vinca con una gamba sola. A Fano lo dimostra chiaramente: ancora pesto ed escoriato per la furiosa caduta danese, appena gli si ripresenta l'occasione di uno sprint lo domina puntualmente. E siamo a due centri. Stavolta con la panna montata della sua bimba di tre mesi portata sul podio. Il resto a seguire.
In fondo, l'unico asterisco sulla vittoria riporta proprio al povero nome di Roberto Ferrari, il killer di Herning. Là autore di una monumentale cappellata, il velocista bresciano ha cominciato da subito un durissimo percorso di flagellazione. Scuse in diretta tv, scuse sui giornali, cenere sul capo davanti a Cavendish prima della partenza di Modena. Il suo team manager Gianni Savio gli ha persino 'consigliato' di non disputare la volata di Fano. Quando ci arriva, debitamente distaccato, il reietto deve pure recitare l'atto di pentimento in diretta al ' Processo', dove sono bravissimi a infierire sui deboli, mentre per i forti devono ancora attrezzarsi. «Sì - confessa l'infame sul traguardo - l'ho fatta davvero grossa e chiedo scusa a tutti. Oggi, per dimostrare la mia buona volontà, non ho fatto la volata ».
Ecco, a questo punto mi sembra il momento di spendere una parola a favore di Ferrari, visto che qui sono tutti bravi a spendergliene contro: Roberto, può bastare. A Herning hai toccato il fondo, inventandoti una volata demenziale, però adesso basta. Hai chiesto scusa, l'hai richiesta duemila volte, ti sei umiliato sulla pubblica via. Non serve altro. Soprattutto, non serve che tu smetta di fare il tuo mestiere. Hai saltato una volata come gesto di buona volontà, però adesso bisogna metterci una pietra sopra e voltare pagina. Chi ammette gli sbagli ed è capace di chiedere scusa ha tutto il diritto di ricominciare. Dunque, ricomincia anche tu. Non puoi chiedere scusa di esistere. Non puoi evaporare. Ti sei meritato il diritto alla riabilitazione, devi ripartire. Facendo nuovamente gli sprint, nel modo giusto, nel modo che sai. Vedi di darti una mossa.
E già che siamo nel Giro dei casi umani, spazio anche a Taylor Phinney, il simpaticone gigante figlio di mamma: continua la sua durissima corsa fantozziana. Ogni giorno una caduta. Anche arrivando a Fano, puntuale per terra. E subito dopo, inseguendo il gruppo di testa, un'ammiraglia rischia di falciarlo nuovamente, limitandosi a urtargli il braccio col retrovisore. Vitaccia. Eppure, con il suo caviglione ancora coperto da una lunga calza nera, tipo autoreggente in un privé, riesce comunque a essere filosofo: «Mio padre ha il Parkinson, so cosa sia la vera sofferenza. Lo penso sempre. Io ho la fortuna di alzarmi tutte le mattine e di venire al Giro. La gente mi vuole bene, di che cosa posso lamentarmi?».
Noi lamentosi ci si potrebbe eventualmente lamentare della noia che sta cominciando a dilagare, ma l'organizzazione ci avverte prontamente che da quest'oggi inizia una tre giorni a dir poco memorabile. Non tappe dure, questo no: nemmeno loro hanno la faccia e lo stomaco per definirle così. Usano eufemismi intriganti: sono tappe nervose, piene di insidie, vedrete in quanti ci lasceranno la zampa…
Ebbene, teniamoci pronti e andiamo a gustare il memorabile show. Garantiscono i creativi rosa, quelli del Giro meno crudele, dunque più equilibrato, dunque più eccitante.
Si riparte con il lituano Ramunas Navardauskas sempre in rosa.
Consapevole del suo cognome, depresso per le nostre pronunce, il leader ha concesso la liberatoria: «Chiamatemi come volete, è meglio». Bello. In testa al Giro meno crudele, dunque più equilibrato, dunque più eccitante, c'è Chiamatemi come volete.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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