Giro in versione più soft per portare in Italia i big

La prima salita arriverà fino ai 91 metri di Posillipo: appuntamento sabato pomeriggio, tappa inaugurale per le strade di Napoli. Da lì in poi, però, ci sarà poco da scherzare. Già il giorno dopo, con la cronosquadre naif sull'isola di Ischia, il Giro d'Italia diventerà terribilmente complicato. Non ho detto durissimo: quest'anno non lo sarà, per precisa scelta politica. Complicato, questo l'aggettivo giusto e risolutivo dell'edizione 2013. La spiegazione è molto elementare: volendo convincere Wiggins, il vincitore dell'ultimo Tour, a degnarci della sua presenza, il Giro ha scelto di snaturarsi, lasciando in naftalina lo slogan “La corsa più dura del mondo nel Paese più bello del mondo“ per coniarne uno tutto nuovo: “La corsa più personalizzata del mondo per il cronoman più forte del mondo: il Baronetto di Sua Maestà, sir Bradley Wiggins“. In suo onore, pacco dono con controfiocco: sabato 11, Gabicce-Saltara, quasi 56 chilometri a cronometro. L'inglese può fare numeri circensi. Sarà come sparare la donna cannone. Poi la storia si farà da sola, con un unico interrogativo: cosa dovrà inventarsi la spettabile concorrenza per rimontare in salita il prevedibile deficit di quel giorno?
Ecco, il Giro d'Italia 2013 sta tutto sotto questo punto di domanda, enorme spadone di Damocle sulla testa dei vari Hesjedal (il vincitore dell'anno scorso, comunque ottimo cronoman), Sanchez, Evans, Gesink, ma soprattutto sulla speranza nostra, Vincenzo Nibali. Chi è del ramo lo sa, chi non lo è deve prenderne nota: Nibali si difende bene a cronometro, ma non vale Wiggins. L'ipotesi - la speranza - è che sia più forte in montagna, anche se i precedenti dell'ultimo Tour parlano chiaro: Nibali lo attacca, ma quello non si stacca. Un catenacciaro costruito in laboratorio con cromosomi di Nereo Rocco e del Trap.
E allora? Allora bisogna affidarsi anche un po' al caso e all'imprevisto. Un Giro si porta sempre dietro tante trappole, strada facendo. Parecchie tappe nervose, ma per fortuna anche tre tapponi atomici. Nell'ordine, da segnare in agenda, le imperdibili: sabato 19 (Galibier), venerdì 24 (Gavia e Stelvio), sabato 25 (Tre Cime di Lavaredo).
Basterà? Basteranno queste montagne agli sfidanti di Wiggins? Parere personale: se da italiani veri avessimo aggiunto anche le terribili verticali che fanno la nostra griffe - Mortirolo, Zoncolan - forse avremmo ristabilito l'equilibrio tra crono e montagna. Ma è pur vero che di fronte alla prospettiva di Mortirolo e Zoncolan, probabilmente, Wiggins avrebbe rifiutato l'ostacolo, rinculando amabilmente verso ambienti più consoni alla sua indole.
Nella vita bisogna scegliere, questa la verità. Avremo meno crudeltà, avremo in cambio più campioni al via. Da diversi anni non ne avevamo tanti. Il che, da un punto di vista smaccatamente patriottico, riduce di molto le nostre ambizioni e le nostre possibilità. Avremo i soliti Basso e Scarponi, come no, ma gli anni che passano assottigliano anche il loro spessore. Restiamo appesi a Nibali, il meglio figlio nostro, già capace di vincere una Vuelta, di arrivare terzo all'ultimo Tour, di arrivare al Giro una volta secondo e una volta terzo. Si è già capito che cosa gli manchi per essere declamato campione vero. Lo sa pure lui. Per non diventare l'eterno piazzato, cioè l'eterno battuto, deve forzatamente vincere un Giro o un Tour. Se comincia subito, tanto meglio. Il carattere e il coraggio non gli mancano. Tanto meno gli manca la fantasia, come ha dimostrato più volte andando a prendersi in discesa quello che non gli riesce in salita. Il problema è che la concorrenza stavolta sembra stellare, con la complicazione maledetta di quella maledetta cronometro pro-Wiggins. Diciamolo: se Nibali sceglierà questo Giro per vincere, sarà più di un capolavoro.
Appendice doverosa: sia Nibali, sia Wiggins, sia Hesjedal, sia Evans, cioè tutte le star dello show, si portano dietro una reputazione molto rispettabile. Mai un caso di doping, mai neppure una voce, una chiacchiera, una diceria. Non è poco. Il ciclismo sta ricostruendo e ricostruendosi, le fondamenta devono essere antisismiche. Ormai nello sport moderno non è più il caso di mettere la mano sul fuoco per nessuno, ci mancherebbe: troppe ne abbiamo viste, altre certamente toccherà vederne, perchè la mamma dei furbi è perennemente gravida.

Ma stavolta, quanto meno, sarà piacevole raccontare storie di campioni presentabili, parlando più di grandi prove che di provette. Il Giro d'Italia dovrà già attraversare l'Italia della crisi: non è il caso di deprimerci ulteriormente con i cretini dalla faccia sporca.

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