Benny Casadei Lucchi
nostro inviato a Rio de Janeiro
«Sono nato due volte: bambina, la prima, e maschio adolescente, la seconda». È Middlesex, il romanzo premio Pulitzer di Jeffrey Eugenides. È la vita di Caster Semenya, l'atleta più discussa dell'olimpiade. Sarà la vita di Francine Niyonsaba, Burundi, e Margaret Wambui, Kenia, le sorelle nel dubbio della mezzofondista sudafricana.
Dubbio, appunto. Non sospetto. Confusione, non slealtà sportiva. Dilemma, non problema. Grande dilemma che l'atletica non ha la forza di risolvere. Unica, amara, consolazione: se domani record del mondo sarà negli 800 donne - e mai puntualizzazione è stata così necessaria -, se non altro cancellerà il primato più longevo e, questo sì, sospetto della storia dell'atletica. Quello della cecoslovacca Jarmila Kratochvìlovà. Anno 1983, 1'53''28 la prestazione di questa atleta maschia nei modi e nella corsa e nelle forme, tanto che armadio e portaerei erano i soprannomi usati per alludere con una smorfia ad aiuti chimici e al doping che mai ammise di aver utilizzato.
Caster sicuramente e forse Francine e forse Margaret lo sono per natura troppo maschie e armadi e portaerei. Pseudoermafroditi li chiamano. Per la Semenya è certificato. Per le altre si comincia a sospettarlo. Il caso è aperto da anni. E infatti la federatletica mondiale, nel 2009, era intervenuta introducendo dei test sul livello del testosterone e imponendo alle atlete con valori oltre i 10nMol/L di assumere ormoni per abbassarli. Nel 2015, una sentenza del Tas ha invece stabilito che alti livelli ormonali non fossero sufficienti a negare le gare alle atlete. Per di più giudicando discriminatori i controlli eseguiti solo sulle donne e non sugli uomini.
Fatto sta, esami aboliti e le prestazioni della Semenya a fare su e giù. Perché su erano andate mentre erano in vigore i controlli, visto che dall'imponente 1'55''45 con cui aveva vinto il mondiale 2009 a Berlino era poi passata, nel 2015, a 2 minuti e rotti. E perché subito dopo l'entrata in vigore della sentenza arbitrale i suoi crono sono tornati giù fino allo spettacolare 1'53''33 di poche settimane fa a Monte Carlo. Migliore prestazione mondiale dell'anno a un niente dal record cecoslovacco lontano nel tempo 33 anni.
È che non si può criticare Caster. E come lei le sue sorelle nel dubbio. È che non si possono squalificare perché non hanno barato e, semmai, sempre rispettato le regole, sottoponendosi ai controlli richiesti. Se l'atletica può e deve bandire e punire i dopati, se l'atletica può e deve studiare vantaggi e benefici delle protesi per gli atleti disabili che si confrontano con i normodotati onde evitare discriminazioni tecnologiche, non può invece nulla con la Semenya e le sue sorelle. Dove può metterle? In quale competizione? Uomini? Donne? Dove? E così, inevitabilmente, si crea discriminazione al contrario. Per le altre atlete in gara con loro.
Nella notte si sono disputate le tre semifinali. Presumibile che le tre sorelle siano tutte passate alla finale di domani. Presumibile che non abbiano fatto tempi eccezionali. Così come accaduto nelle batterie. Perché vivono nascoste Caster e le sue sorelle. In gruppo mentre corrono in pista per nascondere le proprie fattezze all'occhio insistente di troppe telecamere, gruppo da cui emergono solo all'ultimo, quando serve fare il tempo. L'altro giorno Caster ha chiuso sesta la batteria e poi è scappata via nel non mondo dell'atletica dove non ha viso, non ha corpo, non ha sesso lei che ne ha due. Nessuna intervista, solo un file audio.
Non se ne esce. Non c'è modo. Le tre sorelle sono corrette e scorrete al tempo stesso.
Sono giuste e ingiuste. Ecco perché tutti per domani parlano di oro ipotecato e polemiche anche. Però se sarà record del mondo, sarà più pulito di quello che dura da 33 anni. Niente doping e armadi e portaerei. Solo madre natura.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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